Le azioni criminose sono sempre state purtroppo una componente costante e ineliminabile della società umana e questo si è verificato fin dagli albori del suo percorso storico.
In pratica si potrebbe affermare che tutti i ceti sociali ne sono stati contagiati, con eventi più o meno clamorosi e che il “delitto” è un aspetto patologico, potenzialmente sempre presente e attivabile della complessa realtà esistenziale umana.
Su questo assunto, giunge a proposito la breve segnalazione-ricerca del dr. Gervasio Cambiano – cultore di storia locale e della cultura popolare – che ci offre un episodio delittuoso avvenuto a fine settecento in Piemonte e precisamente a Buriasco, nel pinerolese (TO).
La narrazione in oggetto tuttavia obbliga ad una riflessione più ampia in quanto si presenta come un episodio di cronaca nera del tempo, che purtroppo è simile e sovrapponibile ad analoghi episodi di violenza sulle persone dei nostri tempi.
L’impressione immediata è che l’attività criminosa sia inarrestabile, quasi fosse alimentata da una forza misteriosa e malvagia, realizzando una continuità nel tempo.
Tuttavia l’ episodio sotto riportato può essere considerato solamente come la punta di un iceberg della devianza sociale o della patologia criminosa dell’epoca.
Infatti il breve contesto della narrazione evidenzia l’esigenza di una conoscenza più approfondita della realtà socio-economica in cui gli “episodi malavitosi” maturavano e che per ora risulta ancora poco studiata.
Pertanto una storia del “crimine”, che nasceva e che nello stesso tempo affliggeva i ceti sociali popolari del settecento-primo ottocento, ad oggi sembra non avere ancora una sufficiente documentazione.
Parafrasando il motto secondo cui l’occasione può essere lo stimolo per determinate iniziative, provocatoriamente potremmo dire che un piccolo sasso sia stato gettato nello stagno, affinché il messaggio venga raccolto per ulteriori e approfondite ricerche in merito.
Morale della storia: la giustizia dell’epoca, formalmente severa e deterrente, nell’applicazione pratica risultava largamente impotente e purtroppo iniqua e beffarda verso la stragrande maggioranza delle vittime coinvolte.
Pertanto riemerge inevitabilmente la memoria e il significato delle “grida” di manzoniana memoria, nelle quali si decretavano pene terribili per i malfattori, ma con effetti pratici irrilevanti per la grande percentuale dei contumaci che sfuggivano alle sentenze, confermando nei fatti una impressionante continuità con la realtà delittuoso-penale dei nostri tempi.
Una conclusione decisamente deludente e riassumibile nell’aforisma del “niente di nuovo sotto il sole”.
Come sempre, ringrazio l’Autore per questa interessante e particolare ricerca.
Buona lettura.
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Un delitto d’altri tempi: un episodio di violenza su una donna nel 1786
La cronaca nera da sempre registra fatti e misfatti, tra cui delitti contro le persone e in particolar modo contro le donne a lungo considerate poco o niente.
Dalla “Nota de banditi del 13 gennaio 1789”, sorta di Bollettino periodico a stampa che il Governo del Regno di Sardegna inviava a tutte le Municipalità ed Enti statali, si ricava questo a dir poco incredibile episodio accaduto nel Comune di Buriasco, allora nella Provincia di Pinerolo.
Tali Giovanni Battista Sacco e Filippo Fornero, tutti due originari di Vigone, assieme a Costanzo Anselmo, la sera del 27 giugno 1786 sulla pubblica piazza di Buriasco superiore (1) rapivano la giovane Giovanna Bertolotto, religionaria (2) figlia nubile di Francesco, mentre stava entrando nella Filanda di seta di Giovanni Vinaj.
La poveretta fu caricata su di un calesse e mentre si dibatteva e chiedeva aiuto, venne dai due malintenzionati “trattenuta a viva forza nel tempo che da detto Anselmo che la faceva da vetturino, fu condotta a passo veloce da detta filatura al di là di un ponte esistente sul torrente Lemina”.
Dopo aver invano cercato di persuadere la malcapitata con minacce e “con punture anche di coltello inferte a detta figlia per ottenere il pravo loro intento”, il Sacco tentò inutilmente, “di avere per forza carnale commercio colla medesima su di un covone legato avanti il calesse” .
Quindi visto la disperata autodifesa della ragazza l’Anselmo smontò da cavallo e la gettò a terra, in modo che “avere detti Sacco e Anselmo stuprato la medesima previa minacce di morte fattegli con un coltello “.
Dopo aver commesso tale delitto, il terzetto lasciò a terra la povera ragazza e si allontanò.
In seguito alla denuncia venne arrestato, dopo pochi giorni dai militari di polizia, il solo Anselmo mentre gli altri due si resero contumaci, cioè non si fecero più vedere né a Buriasco e Vigone (loro paesi d’origine) né tantomeno nei dintorni.
Dopo il processo svoltosi a Torino nel gennaio 1789 (già allora la giustizia non era poi così veloce) al Fornero, sempre contumace, vennero inflitti 5 anni di galera. Al Sacco, anch’egli contumace, 15 anni di galera più un tratto di corda (3), all’Anselmo come detto, che era stato subito “acciuffato”, la stessa pena del Sacco, cioè 15 anni di galera e un tratto di corda.
Così termina la cronaca di questo “delitto” di violenza carnale a cui la Magistratura del tempo era solamente in grado di rendere giustizia in modo formale. La vittima restava tale con il suo bagaglio di sofferenza e forse con il marchio gratuito, alimentato dall’insinuazione di colpevole cedevolezza, ingigantito dal pettegolezzo popolare.
Note:
1)- Il Comune di Buriasco, con il suo territorio, manteneva la divisione di quando era per metà sotto il dominio Francese: Buriasco superiore sotto la Francia e Buriasco inferiore sotto il Ducato di Savoja. Questa situazione durò fino alla fine del secolo XVII quando la Francia si ritirò da Pinerolo, mettendo il confine al Bec Douphin poco oltre Perosa Argentina. Da quel momento tutto il territorio di Buriasco fu inserito nel Piemonte.
2)- Il termine religionario significa valdese. Evidentemente nei dintorni di Pinerolo risiedevano anche famiglie valdesi, scese in pianura dalle poco distanti vallate.
3)- Il “tratto di corda”, dato come pena, era una specie di punizione corporale stabilita dalla Legge, oltre che una vera e propria tortura in voga fino alla prima metà del secolo XVIII.
Da “Wikipedia”: “Di uso diffuso, data la semplicità della procedura. Consisteva nel legare con una lunga corda i polsi del reo dietro la schiena e poi nell'issare il corpo per mezzo di una carrucola. Il peso del corpo veniva così a gravare tutto sulle giunture delle spalle. Per aggravarne gli effetti, la corda veniva ripetutamente allentata di colpo per un certo tratto e bloccata; la gravità sul peso del corpo provocava uno strappo ai muscoli e la slogatura delle braccia all'altezza dell'articolazione delle spalle. Per aumentare ulteriormente l'efficacia della tortura, ai piedi della vittima potevano essere legati dei pesi; generalmente la conseguenza del trattamento comportava storpiatura a vita”.
Gervasio Cambiano