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Reg. Stampa num.22 del Tribunale Ordinario di Torino - 11 Marzo 2011
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Sono nato nei primi anni 50 e ricordo ancora quando a Torino, sui muri di certe case, c'erano ancora le cicatrici dei bombardamenti. Poi venne il tempo del miracolo economico, di Italia ’61, della prima bicicletta con le ruote da 28.

Il Paese rifioriva, lo sentivo, odorava di lavoro e di ottimismo mentre crescevo con rispetto per la scuola e per le istituzioni, imparando a far di conto e a ragionare con la mia testa.

Ricordo un'Italia sempre meravigliosa nella sua terra, nella sua brava, piccola gente generosa e accogliente, ma mai tranquilla politicamente, facile alla rissa più che all'appartenenza; retaggi del ‘45, di una guerra persa fuori e dentro casa, mai del tutto finita.

Rammento bene quel momento della lotta di classe, del ‘68, dei cortei con le bandiere rosse, degli scioperi, delle lotte sindacali e di quella marcia dei 40.000 che salvò la Fiat dalla chiusura. Ricordo le brigate rosse, Aldo Moro, il compromesso storico e la sua fine marcata Berlinguer nel 1980, uomo tutto d'un pezzo a cui si deve quella bella idea della "questione morale" oggi più che mai da rispolverare, ma non lo si farà.

Ricordo Piazza Fontana, la stazione di Bologna, le bombe nere e quelle di Stato, i referendum sul divorzio e sull'aborto, Licio Gelli, la P2, la vicenda del Banco Ambrosiano e quei tanti misteri targati servizi segreti, e per questo, ancora tutti da sdoganare.

Ricordo che c'era un confine, una legge da rispettare, una banca nazionale, una moneta con la quale siamo diventati la settima potenza mondiale, una religione di Stato e il crocefisso nelle scuole che in fondo, a crederci anche non completamente, garantiva perdono e non era controproducente.

Ricordo che si festeggiavano i santi, la Pasqua, il presepe a Natale, e che non era un babbo scandinavo vestito di rosso, ma Gesù bambino che portava il regalo a chi gli scriveva una letterina.

Ricordo la tv in bianco e nero che poteva quasi bastare, un certo rispetto per la famiglia, l'appuntamento col servizio militare che, a ricordarlo oggi, è quello che manca a una certa irrequieta gioventù, alle ragazze che si sentivano fischiare dai camion che passavano e alla popolazione tutta, che forse si sentiva più protetta nel sapere che c'era una caserma poco lontano.

E poi ricordo Ustica, Falcone e Borsellino, il blitz di mani pulite, Bettino Craxi colpito con le monetine e Raoul Gardini, grande imprenditore, spararsi un colpo di orgoglio e di pistola a causa di un'accusa da poche lire, e quella storia della fine di una prima Repubblica!? Illusioni di legalità in questo Paese lungo, dalle 1000 contraddizioni, sempre più preda di una silenziosa, partecipe criminalità organizzata infiltrata nelle istituzioni.

Ricordo quel momento in cui un Cavaliere osannato da metà della popolazione scese in politica per difendere le sue aziende e quindi, una categoria imprenditoriale, un neoliberismo anti keynesiano  e riempire una fetta del Parlamento spazzata via da una purga a senso unico che solo il tempo (forse) potrà spiegare.

Ricordo che da quel momento l'Italia è stata spezzata in un'altra serie di sotto-frammenti tra pro e contro Berlusconi che ci ha fatto del male alzando troppo i toni, ricordo una magistratura ad orologeria, "lodi" e condanne, e mentre in casa Italia si inaspriva la guerra civile delle ideologie, il mondo andava avanti e noi si restava indietro a bisticciare sul fatto che l'essere ricco oppure no fosse un delitto e tutta una serie di opinioni, fatti e smentite, che sono storia recente eppure quasi seppellita, sia pur ancora ruvida e vibrante.

Ricordo tutto questo e dell'altro, mentre nel frattempo l'Europa si è fatta unita intorno a una moneta, dando il via a una serie di entusiasmi e di delusioni, all'avvento di nuovi poteri centrali e cancellando sovranità ben descritte nelle costituzioni spazzate via dal vento inarrestabile degli interessi di una non dichiarata "Prima guerra mondiale bancaria ed economica" ben studiata a tavolino per spennare a fuoco lento risparmi, casse e speranze di ogni onesto cittadino.

E mentre qua e là nel mondo si consumano le solite atrocità indispensabili al genere umano per sentirsi tale, oggi lunedì 28 novembre 2016, nel bel mezzo della più stupida battaglia italica che io ricordi da che sono nato, mentre ascoltavo un TG ho sentito che abbiamo toccato il fondo della dignità di un popolo e della credulità.

La campagna referendaria su questa ruvida vicenda del SI e del NO, ha visto scendere in campo anche la mannaia terrificante che dondola su sette delle nostre banche. Su quello che fino a poco tempo fa era definito il reparto più solido della nostra economia e a cui era affidato il sudore ed il risparmio. L'isteria di chi comanda ha trasmesso il terrore al telegiornale: se vincerà il NO, le sette banche rischiano il fallimento perché l'Europa non garantirà l'aumento di capitale.

Non ricordo niente di più assurdo. Mentre mi si sovrappongono centinaia di domande, una tra tutti mi perseguita: ma insomma! Le banche sono in fallimento SI o NO? Oppure NO se vince il SI? Ed è qui che la mia mente vacilla, il mio cuore si spegne e la gola si indigna! Comunque vada questa sporca storia di un referendum di sinistra propaganda, all'attuale Primo Ministro così voluto dal suo partito, resterà la responsabilità di aver spezzato ancora quell'unità d'Italia costruita con tanta fatica.

E quest'ultima dichiarazione della banca europea, se ancora lascia dei dubbi a chi appartenga lo scettro del comando sulle cose di oggi che straziano il Bel Paese, io più di così non possono suggerire. Ognuno ha la sua testa e di certo ha il diritto di poterla adoperare al di là di ogni messaggio subliminale.

Ricordo che un tempo "povera Italia" era un autoironico modo di dire che spronava alla riscossa economica e civile di una patria ferita, ancora fresca di macerie e da ricostruire.

Non so quali saranno i ricordi di chi verrà dopo di me, dei giovani in cerca di occupazione, ma so che gli lasciamo una "Italia povera" di orgoglio, di motivazioni, di forzieri fino a ieri spacciati per sicuri dove depositare risparmi d'una vita, di punti fermi e chiari in cui riconoscersi Nazione. Forse saranno i nuovi ospiti venuti da altri popoli a scrivere da capo una nuova Costituzione.

Eppure l'inno di Mameli suona ancora ad ogni evento sportivo e il Paese di poeti e di navigatori si ritrova unito sopra un podio o con al collo una medaglia. Forse, passati il referendum e questo squallido momento, l'acqua tornerà quieta e la Grande Bellezza tornerà a splendere di nuova luce, mentre il Re del Mondo che tutto sa, ancora resterà a guardare di quante sciocchezze si potrà vantare questo eterogeneo gruppo della sua complessa razza.

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