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Torino. Referendum Costituzionale, lo sprint finale è inarrestabile!
Proseguono in tutto il Piemonte la mobilitazione per il No, mentre Renzi svuota le autonomie regionali
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La consapevolezza dei molti piemontesi che si sono impegnati e si distinguono per cercare di capire la portata e le conseguenze del voto referendario, parte dall’inverno scorso, quando ancora non si conosceva la data esatta della consultazione, sempre celata e poi rinviata dall’ondivago presidente del consiglio.

L’ultima settimana, le forze in campo non si sono risparmiate, in vista del voto del 4 dicembre.

In ordine cronologico le mobilitazioni più recenti vedono impegnati a Torino ed in altre piazze della Regione, Piemonte Stato, il movimento identitario erede del glorioso MARP di Villarboito e Benzi, presente nelle amministrazioni comunali a partire dagli anni 50 del secolo scorso.

Oggi continua a battersi per l’indipendenza del Piemonte. Oltre ai temi che accomunano le diverse anime politiche schierate per il NO, con il sostegno di delegazioni giunte dalla Savoia e da Nizza, gli antichi Stati dei Savoia di cui quest’anno ricorre il seicentesimo anniversario, rivendica in modo specifico le prerogative di  autonomia della Regione, in materia di zone franche urbane, contemplate dall’ordinamento oggi in vigore e volutamente ignorate da Chiamparino , come ci precisa Sonia Turinetti dell’esecutivo del Movimento.

E’ seguita la mobilitazione del M5S, anche a difesa dei diritti degli elettori, in particolar modo in Val di Susa, con Francesca Frediani e Stefania Batzella, ove il disprezzo della Giunta Regionale sui temi della sanità e delle infrastrutture sono particolarmente sentiti.

Il Movimento Siamo Italiani nato dal basso, dalla società civile a difesa degli ultimi con l’europarlamentare Laura Comi e la presidente di Torino in Movimento, Federica Fulco ha incontrato i sostenitori in una sala gremita ribadendo le ragioni del No.

Ieri, in concomitanza con la discesa di Matteo Renzi al Lingotto, il Comitato per il NO alla riforma costituzionale, presieduto da Claudia Porchietto ha coinvolto tutto gli esponenti del centro destra a livello regionale e locale, nelle accezioni partitiche e di singoli movimenti che, almeno sui tema referendario sono fermamente uniti per il No.

Oltre ai promotori  Porchietto, Vignale e Giacometto, erano presenti l’On, Maria Stella Gelmini, i senatori Gaetano Quagliariello, Lucio Malan e Maria Rizzotti, l’euro parlamentare Alberto Cirio, l’On. Osvaldo Napoli, capogruppo di Forza Italia al consiglio comunale di Torino,  Gilberto Pichetto ed il gruppo dei consiglieri regionali di Forza Italia al completo con ampie delegazioni di sindaci dei rispettivi territori di riferimento e l’ex capogruppo al consiglio provinciale di Torino Nadia Loiaconi.

I consiglieri comunali del centro destra a Torino, Alberto Morano e Roberto Rosso e gli esponenti degli altri partiti Gianni Alemanno e Maurizio Marrone per FdI, Gianni Allasia e Giovanna Briccarello per la Lega Nord completano le delegazioni presenti.

Alcuni di loro hanno partecipato al dibattito testimonianza che ha visto alternarsi gli esponenti nazionali e i rappresentanti nelle istituzioni  su 5 tavoli tematici.

Per inciso la Rai, già allineata agli ordini del dittatore di Rignano ha ignorato l’assemblea Torinese. Su questo vulnus alla democrazia, il senatore Lucio Malan ha annunciato che presenterà un’interrogazione al senato ed un esposto all’Agcom.

La lunga marcia sul territorio del Comitato, come orgogliosamente ricordato dalla stessa Claudia Porchietto è partita sin dal marzo scorso al momento della sua costituzione.

Il 2 aprile , in un gremito incontro in un albergo torinese, ogni aspetto della Legge e i risvolti opachi dell’iter parlamentare sono stati affrontati e spiegati nel dettaglio da due autorevoli protagonisti della battaglia parlamentare avversa al diktat governativo, il vice presidente del Senato Roberto Calderoli, una testa pensante ancor rimasta nella Lega Nord e il costituzionalista e senatore Gaetano Quagliariello  pure presente  all’incontro di ieri.

Entrambi hanno portato avanti per mesi in parlamento l’opposizione logica e ragionata al testo della maggioranza. All’incontro di aprile, era inoltre relatore l’ex presidente della Camera dei deputati Luciano Violante, allora perplesso per il Si ed oggi orgogliosamente salito sul carro di Renzi.

Riteniamo che, a prescindere dai singoli e specifici contributi emersi dal convegno, valga ricordare ai  nostri lettori i punti salienti degli aspetti critici del testo, sul quale dovremo pronunciarci tra una settimana.


1. Il cuore del provvedimento è il superamento del bicameralismo perfetto.

Il Parlamento sarà sempre composto da Camera e Senato, ma solo Montecitorio potrà accordare o revocare la fiducia al governo.

2. Come cambia il Senato?

Subirà un taglio dei senatori. Da 315 a 100. Tutti con l’immunità. 95 saranno eletti dai Consigli regionali “in conformità alle indicazioni espresse dagli elettori alle elezioni politiche”, ma con procedure non  ancora definite. Gli altri 5 potranno essere nominati, come accade anche oggi, dal Presidente della Repubblica. Continueranno a sedere sugli scranni di Palazzo Madama gli ex inquilini del Quirinale.

3. Come cambia l’elezione del Capo dello Stato.

Il Presidente della Repubblica sarà eletto con i due terzi di senatori e deputati nei primi tre scrutini e con i tre quinti dal quarto scrutinio. Dal settimo si passa a un quorum dei tre quinti dei votanti. Adesso, invece, la Costituzione prevede che all’elezione partecipino anche tre delegati per ogni Regione (la Valle d’Aosta con un solo). Viene eletto Presidente chi riceve la maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.

4. Modifica del Titolo V.

È la parte della Costituzione dedicata agli Enti autonomi che costituiscono la Repubblica. Si è riscritto l’elenco delle materie riportandone molte alla competenza dello Stato e sottraendole alle regioni.  Inoltre sono state cancellate le province dal testo costituzionale.

5. Leggi popolari e referendum.

Cambiamenti anche per gli istituti di democrazia diretta. Per presentare una proposta di legge popolare serviranno 150mila firme (oggi ne occorrono almeno 50mila da parte degli elettori).

È salita anche la soglia per il referendum abrogativo: non più 500 mila firme di elettori, ma 800 mila e il quorum sarà fissato al 51% dei votanti delle ultime politiche. Invece se la raccolta firme si attesta tra le 500 e 800mila resta il quorum del 51% degli aventi diritto al voto.

La confusione più evidente è relativa alla tecnicità molto incerta e aleatoria che prevede il pseudo metodo elettivo dei senatori consiglieri regionali. Meccanismo astruso che non molti cittadini sono in grado di cogliere.

Il Senato ridimensionato nei numero e componenti e svuotato dalla originali funzioni e competenze, si configura come una ripetizione della Conferenza Stato Regioni e dunque una clonazione dei posti di potere.

La stessa confusione che riguarda la revisione del Titolo Quinto, con l’abolizione della competenza concorrente e la ridistribuzione delle materie in capo allo Stato.

Dunque se il referendum costituzionale sarà sconfitto, è ovvio che trascinerebbe con sé la nuova brutta legge elettorale, rendendola inapplicabile, in quanto pensata, scritta e attuabile per la sola Camera dei deputati, nella previsione che il Senato non avesse più il rapporto fiduciario con il governo, come previsto dalla riforma stessa.

Se invece il SI dovesse prevalere,

Non si aboliscono i senatori a vita

Dopo le province si cancella il diritto al voto per il Senato

La riforma costituzionale unita alla nuova legge elettorale, darà la possibilità ad una minoranza (lista che prende un voto in più) di nominare più di 1500 posti di Governo e sottogoverno

Crea un “premierato assoluto” che mira al centralismo invece che al decentramento e alla sussidiarietà

Aumenta il numero di firme per i referendum abrogativi e non istituisce quelli propositivi

La Corte Costituzionale resta un Organo Politico e non garante

Come già accennato al Lingotto il Presidente del consiglio Matteo Renzi affiancato da un gigionesco Serio Chiamparino ribadiva contestualmente le ragioni del Si e gli anatemi ormai usuali alle orecchie degli italiani.

Ma l’aspetto più stridente era  la presenza del governatore Chiamparino a far da balia a Renzi sul palco.

Con quale coerenza  colui che dovrebbe propugnare e difendere le prerogative istituzionali e fondative della regione con tanta faciloneria applaude ed incoraggia una legge che sminuisce la portata e mortifica l’ordinamento regionale?

Ci sarà qualche consigliere regionale tra i presenti di ieri che avvertirà la necessità di presentare una mozione di sfiducia a Chiamparino in apertura del prossimo consiglio regionale?

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