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(Milano, stadio San Siro 10 Giugno 2016, ore 16,00)

Ciao e benvenuti. Questo è un momento particolare, intimo, che abbiamo fortemente voluto io e i miei amici, per festeggiare con voi questo avvenimento, molto importante per la nostra vita. Grazie a tutti per essere qui”.

La parole di Roby Facchinetti rimbombano nello stadio inondato dal sole, mentre il pubblico si sta pian piano radunando davanti ai cancelli: di fronte al palco circa 500 persone che hanno avuto la possibilità di assistere al soundcheck, e che attendono frementi questa gustosa ed imperdibile anteprima.

Primo accordo di pianoforte, ed è subito magia: “Cercando di te”, arrangiata a cinque voci, con Riccardo chiamato a cantare le strofe centrali.

Brividi, semplicemente brividi  e la consapevolezza che ciò che succederà di lì a poco, sarà qualcosa di irripetibile.

Poi il concerto, spettacolare, intenso, indimenticabile: l’evento del 2016 che si è rivelato veramente tale.

Ma l’astronave…”che non scende a terra mai”…aveva programmato, in estate, troppo poche fermate e così è stata “costretta” a ripartire per il tour invernale, quello dell’addio definitivo, o probabile, perché con questi cinque ragazzacci non si può mai sapere.

Personalmente non ho mai amato troppo i mega-raduni e i concerti negli stadi: troppo dispersivi, troppo lontani gli artisti dal pubblico, troppa confusione.

Ho sempre preferito i palasport, o meglio ancora, i teatri, e quindi non mi lascio di certo scappare l’occasione di rivedere Riccardo, Red, Roby, Dodi e Stefano in un ambiente più a misura di pubblico.

 

(Torino, PalAlpitour 25 Novembre2016, ore 20,00)

Il pathos, l’attesa, fra i presenti è palpabile, e il tempo passa in fretta fra chiacchiere, nuove amicizie, ricordi condivisi e una domanda che probabilmente si sono posti tutti: cosa sarebbero stati i Pooh se il bassista toscano non avesse lasciato la band.

Mi ero chiesto la stessa cosa due anni fa, quando proprio Riccardo Fogli e Dodi Battaglia si esibirono insieme sul palco del Le Roi a Torino (clicca qui), in una serata indimenticabile, fortemente voluta da Toni Campa e Luciana De Biase, e come allora non ho trovato risposta.

Il PalAlpitour si riempie lentamente di famiglie intere (nonni, figli e nipoti), arzille e tenere settantenni con bandana e t-shirt d’ordinanza, cinquantenni che hanno scambiato le prime “limonate” con “Linda” come sottofondo, quarantenni in gran tiro e tanti giovani.

Tutti ordinati, educati e silenziosi: giusto un tenue brusìo di sottofondo, destinato a diventare un coro impressionante di lì a poco.

Pochi minuti dopo le 21,00 comincia lo show con uno spettacolare effetto scenico: l’astronave che atterra col suo carico di musica e si parte con “Giorni infiniti”, “Rotolando respirando” e “Dammi solo un minuto” che si rivelano un vero pugno nello stomaco.

Via via si snoda il resto del concerto: 50 canzoni, una per ogni anno di vita del gruppo, tra un medley unplugged a cinque voci davvero emozionante, una parte dedicata all’anima “progr” dei Pooh, quella che personalmente prediligo e che mi ha fatto godere come un riccio, energica e viscerale; alcune pietre miliari della produzione pre e post 1973, con un crescendo che inizia con “Pronto, buongiorno è la sveglia”, dove il pubblico, fin troppo composto fino a quel momento, si alza e corre sotto il palco, per vivere e cantare l’ultima ora di spettacolo insieme ai propri beniamini; passa attraverso “Io sono vivo” e “Chi fermerà al musica”, per terminare in un turbinio di luci e colori con “Ancora una canzone”, il singolo lanciato ad inizio estate.

Suoni perfetti, grazie alle migliaia di watt sparati da diffusori potentissimi che creano uno spettacolare effetto surround, e che unito a fuochi, pyros, video di back-drop, maxi-schermi, pedane semoventi, fumo e coriandoli, rendono lo show indimenticabile.

I Pooh hanno attinto a piene mani da anni e anni di spettacoli, pescandone il meglio del meglio, per offrire ai presenti qualcosa di memorabile: “Parsifal” viene così eseguita all’interno di una cattedrale gotica, le note di “Risveglio” risuonano sotto un cielo stellato, “Piccola Katy” ci riporta ai colori tipici degli anni ’60, senza dimenticare il laser, praticamente “inventato” dai Pooh e utilizzato a gò gò.

E poi i cinque protagonisti: Riccardo, accolto da un vero boato, molto più in forma e più a proprio agio rispetto all’esordio di Milano, con la voce che è sempre poesia, Red, tenero e romantico, che canta le canzoni più struggenti ed autobiografiche della storia del gruppo, commuovendosi e commuovendo, come se fosse la prima volta, Roby, camigia inguardabile a parte (dove “camigia” è un neologismo che scherzosamente mi permetto di usare per indicare una camicia cucita a mò di giacca, o viceversa, se preferite), un vero direttore d’orchestra, talentuoso, pretenzioso ma anche comprensivo, Dodi, una macchina da guerra, in splendida forma, che riesce a far ridere, piangere, urlare, la dozzina di chitarre che usa durante lo show, e Stefano, circondato da un drum-set impressionante, che termina lo spettacolo stremato ma felice, sorridente nonostante l’evidente fatica.

Ne manca solo uno all'appello, che non c'è fisicamente ma che viene ricordato sempre con estremo tatto e nostalgia proprio da Roby: il poeta dei Pooh, Valerio Negrini, il collante di questo grande progetto musicale, di questa macchina inarrestabile che per cinquant'anni ha saputo mantenersi saldamente al primo posto. E' davvero un'assenza importante, ma come ho sentito dire ultimamente "l'assenza è presenza" e la grande artisticità di Valerio si respira in ogni brano, per sempre. 

Volendo cercare il pelo nell’uovo, bisogna sottolineare l’esclusione dalla scaletta di parecchi brani (“Linda”, “Cosa dici di me”, “Infiniti noi”, “Anni senza fiato”, quattro titoli a caso), l’omissione presso che totale dell’album “Dove comincia il sole”, se si esclude un breve richiamo di “L’aquila e il falco" (avrei ascoltato con curiosità e interesse Stefano impegnato nella title-track), lo spazio dedicato a Riccardo un tantino ristretto (per lunghi momenti è completamente assente dalla scena) e i dialoghi col pubblico ridotti al minimo sindacale.

Dettagli, naturalmente.

Ma vi posso garantire che “In diretta nel vento”, “Pierre”, “La ragazza con gli occhi di sole” (con Stefano e Riccardo impegnati a cantare ai lati opposti del palco), “Uomini soli”, la già citata “Dove sto domani” e “Cercando di te”, arrangiate a cinque voci, da sole valgono il prezzo del biglietto e provocano brividi difficili da descrivere.

Personalmente avrei voluto gustarmi live anche quel…”solo lei nell’anima”…ma la voce di Riccardo, come del resto già a San Siro, è stata sommersa dal coro del pubblico, ma va bene lo stesso.

Del resto è giusto così.

Tornando a casa e rimuginando su quello a cui ho assistito, complice il ricordo del concerto di Milano, mi rendo conto, forse per la prima volta, di aver vissuto in prima persona praticamente tutti i cinquant’anni di carriera dei Pooh, e improvvisamente mi sento vecchio.

Ma è solo un attimo: ci penserò un’altra volta, magari ci penserò domani.

In fin dei conti sono vivo: ho cantato tutte, ma proprio tutte, le cinquanta canzoni in scaletta, la colonna sonora della mia vita, e mi sono davvero divertito, insieme a quei cinque bucanieri del palcoscenico.

E se si è vivi, nessuno fermerà la musica.

Un caloroso ringraziamento a Tina Rossi Photographer per la meravigliosa gallery.

Stay always tuned ! 

 

 

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