In Italia si chiude una settimana caratterizzata da stucchevoli incontri e dibattiti sul referendum costituzionale tenuti purtroppo, nella maggior parte dei casi, da politicanti d’infimo livello e assolutamente impreparati che recitano slogan avulsi dal tema della consultazione elettorale.
Purtroppo le stringenti e lucide analisi dei costituzionalisti sono state soverchiate dal qualunquismo da ambo le parti e questo è un male per il Paese ed accentua ancor più la disinformazione.
C’è chi proietta addirittura scenari idilliaci nel caso, del tutto teorico, della cacciata di Renzi in caso di vittoria del NO.
Il presidente del consiglio, dal canto suo, annunciando che dopo di lui ci sarà il diluvio, si gingilla dietro ad ogni sorta di promesse e concessioni che non potrà di certo onorare, perché come tutti conoscono o dovrebbero sapere, la coperta è corta, molto corta.
In Europa invece, qualcosa si sta muovendo e ciò fa ben sperare.
Gli oltre 4 milioni di elettori che, recandosi in un giorno di pioggia a votare alle primarie del centrodestra, hanno sancito in Francia la vittoria con ampio margine di François Fillon, non solo segnano una svolta nella storia politica del loro Paese ma potranno aprire anche nuove prospettive alla vita pubblica dell’Europa intera.
La contemporanea decisione di Angela Merkel di candidarsi per un quarto mandato come cancelliere della Repubblica Federale di Germania era invece scontata, anche per l’assoluta mancanza di alternative spendibili, ma ha comunque dato per riflesso ulteriore rilievo a quanto accaduto in Francia.
Leggendo le prime enunciazioni, pare intenda scrollarsi di dosso, lo stucchevole ossequio all’andamento stanco, e burocraticamente indisponente della Commissione Europea.
Tanto più dopo l’iniziato esodo della Gran Bretagna dall’Unione Europea, i due Paesi infatti, stretti tra loro da forti e consolidati legami che, in ossequio alla Storia potremo definire neo-carolingi, si pongono sempre più come baricentro unico e insostituibile dell’Europa.
In effetti il resto dell’Unione, a partire dall’Italia non asseconda tanta ambizione. Renzi, con le ultime dichiarazioni intenderebbe candidarsi a rivestire i panni un po’ tanto logori di Hilary Clinton in Europa.
Ma al di là di ciò il peso obiettivo del blocco franco-tedesco è un dato di fatto, soprattutto se si compara con le debolezze intrinseche del Sud Europa ed alle politiche rinunciatarie e miopi condotte dagli ultimi governi che si sono succeduti in Italia ed in Grecia.
La vittoria di Fillon, già primo ministro di Sarkozy, 44,1 per cento dei voti, è una sconfitta dei sondaggi. Era stato previsto un suo testa a testa con Alain Juppé il quale invece si è fermato al 28,3 per cento.
Al di là del dato di cronaca conta la sostanza della vicenda: da un lato il successo delle elezioni primarie, per le quali erano stati allestiti oltre 10 mila seggi in tutta la Francia, e dall’altro il profilo politico di Fillon.
Cattolico, cinque figli, sposato felicemente con una compagna di liceo, Fillon ha una storia personale molto diversa da quella di Donald Trump. A parte questo il progetto politico neo-liberale dell’uno e dell’altro presenta molti e importanti punti di contatto: riforme della pubblica amministrazione, tagli della spesa pubblica improduttiva, rilancio degli investimenti, ripresa del controllo sui flussi immigratori.
L’uno e l’altro inoltre sono a favore della difesa della vita e in vario modo contrari alla normalizzazione della pseudo famiglia omosessuale.
Al di là del Reno, seppur con parole legate a un linguaggio politico più datato, pure Angela Merkel ha progetti analoghi: vuole riconquistare i “perdenti della modernizzazione” che perciò “cercano rifugio tra i partiti populisti di destra e di sinistra”.
Sono risposte solo in parte diverse a urgenze nella sostanza molto simili. Ovunque nel mondo la crisi ormai di lungo periodo iniziata nel 2008 fa emergere domande cui le culture politiche marcatamente ideologiche nate nel secolo XX non sanno più dare risposta.
Sburocratizzazione, riduzione della spesa statale, maggiore spazio all’iniziativa economica dei privati, rinascita dell’economia manifatturiera, maggior sicurezza, migliore controllo dei flussi immigratori e soprattutto salvaguardia delle autonomie e delle scelte regionali: sono queste le sfide che sia in America che in Europa la gente comune lancia alla politica.
Nel caso dell’Europa a tutto questo si aggiunge pure l’urgenza che l’Unione Europea assuma in sede internazionale un ruolo proporzionato al proprio peso di gigante demografico e di gigante economico che non può più permettersi di rimanere un nano politico e militare.
E’ evidente che con Trump gli Stati Uniti continueranno a ritirarsi dalla regione euro-mediterranea lasciando un vuoto che se non verrà adeguatamente colmato dall’Unione Europea potrà trasformarsi in un catastrofico baratro.
Ciò implica tra l’altro un’ovvia specifica responsabilità dell’Italia in quanto centro del versante mediterraneo dell’Unione.
Alla luce di questo quadro generale la situazione politica del nostro Paese appare inadeguata in modo ormai insostenibile. Nessuno dei nostri veri grandi problemi, dal ristagno dell’economia alla persistente crisi demografica e al ruolo appunto nel Mediterraneo, giunge mai al centro del dibattito politico.
L’area di centro-destra è allo sbando, con i partiti di riferimento divisi al loro interno e di quella di centro-sinistra si può dire altrettanto, con le frazioni palesi e inconciliabili emerse ancora nel corso delle prese di posizione pubbliche in vista del referendum.
Poi c’è Renzi che da gran pifferaio galleggia e si definisce l’ago della bilancia.
Il suo disco rotto è la riforma costituzionale in vista del referendum del prossimo 4 dicembre.
La sua grande colpa e responsabilità risiede nel fatto che non ha saputo, sin dall’inizio dissociare l’azione del governo dalle prerogative parlamentari, così contribuisce ogni giorno, con i suoi ostinati anatemi ad aumentare la fibrillazione sui mercati finanziari.
Nel merito del voto, ci poniamo e formuliamo una domanda ai nostri lettori.
Come si sarebbe espresso Montesquieu?
Tra le tante perplessità e osservazioni critiche, formulate in questo periodo sulle modifiche della costituzione, l’aspetto maggiormente problematico e pericoloso, si annida nella commistione tra un potere legislativo monco, in preda ad un esecutivo totalizzante.
Ebbene il grande filosofo francese nel suo “ L’ésprit des lois” ha tracciato la teoria della separazione dei poteri, che ormai è divenuta il presupposto di ogni stato democratico, ed analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni Stato democratico.
Il Legislativo, (fare le leggi), l’esecutivo (farle eseguire) e il giudiziario (giudicarne i trasgressori).
Condizione oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati. Nella sua trattazione, Montesquieu così parte dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe assolutamente",
Questa a nostro parere è la considerazione cardine da valutare e sulla quale seriamente riflettere.
Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it