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La destra austriaca fa tremare l’Ue.
........ qui comincia la tempesta perfetta.
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Da Pinkafeld (Austria). «Qui comincia la tempesta perfetta», dice Fritz, capo della comunità laica francescana di Pinkafeld, villaggio di cinquemila anime nella campagna del Burgenland, regione orientale dell’Austria che fino al 1921 era Ungheria. E da ieri, da quando il candidato di destra Norbert Hofer ha annunciato che l’Austria potrebbe seguire l’esempio di Londra e lasciare la Ue, il vento si sente più forte.

All’eremo si sale dal paese percorrendo una strada bianca costeggiata dai capitelli in sasso della Via Crucis, costruiti per commemorare l’incendio della città da parte dei turchi nel 1532.

«Un evento che continua a segnare l’anima del luogo; qui più che altrove il forestiero è percepito come un potenziale nemico, gli eventi degli ultimi due anni, con l’arrivo dei profughi dai Balcani, hanno inaugurato un tempo di paura, d’incertezza, ma anche offerto una risposta politica non convenzionale», dice l’anziano pellegrino che ha imparato l’italiano nei suoi annuali viaggi a piedi fino ad Assisi. «Non mi sorprende che la tempesta politica perfetta che colpirà l’Europa nei prossimi mesi cominci da qui. Sembra strano ma c’è un collegamento tra il Michigan e il Burgerland, tra la rivoluzione di Trump e quella che potrebbe spazzare via l’establishment europeo, a partire dalla piccola Austria».

La data è il 4 dicembre, stesso giorno del referendum italiano: l’Austria vota per il nuovo presidente e il favorito da tutti i sondaggi è Norbert Hofer, 45 anni, esponente dell’Fpö, partito della Libertà, destra tradizionalista e identitaria, fondato negli anni Cinquanta da alcuni ex ufficiali nazisti e poi parzialmente sdoganato dal carinziano Jörg Haider, il padre di tutti i nazional-populisti europei e spauracchio del continente per alcuni anni fino alla sua morte si parlò di complotto – in un incidente stradale nel 2008.

Oggi l’epicentro del ribaltone è questa cittadina a un centinaio di chilometri a sud-est di Vienna, perché Pinkafeld è la roccaforte di Hofer, l’uomo nuovo in odore di nostalgia: la sua casa in Steinamangergasse è presidiata discretamente da un’auto con due poliziotti che fanno le parole crociate al cellulare, piazzati davanti alle alte mura in cemento armato che circondano la villetta e costruite recentemente, come dice il ferramenta dirimpettaio, per una «sua specie di ossessione per la sicurezza; Hofer porta sempre una pistola Glock nove millimetri alla cintola e pare che abbia generato una moda, tipo il Nebraska», ride compiaciuto dietro il banco.

I manifesti elettorali sono esposti sempre in par condicio, uno di Hofer e uno del rivale, Alexander Van der Bellen, elegante intellettuale ex comunista di 72 anni oggi candidato per i Verdi. «Rivogliamo indietro la nostra Austria», si legge sotto la faccia da ragazzino gentile e ambizioso di Hofer. Un Paese economicamente sano (anche se parliamo di una ricchezza nazionale paragonabile a quella della Lombardia), ma che non si riconosce più, in piena crisi identitaria, incapace di sanare le frustrazioni post asburgiche e troppo piccolo per trovare un ruolo adeguato sia in Europa sia nel mondo globale.

 

L’Austria è così nel pallone che si è addirittura attirata le ironie del mondo per aver dovuto prima annullare il ballottaggio del 22 maggio (vinto da Van der Bellen per 31 mila voti) a causa di irregolarità in fase di scrutinio e successivamente rinviare, in settembre, la ripetizione della tornata per la scarsa qualità della colla delle buste del voto postale.

Vedremo se il 4 dicembre sarà la volta buona. Nel frattempo, mentre il ministero dell’Interno provvedeva a cambiare marca di colla, è cambiato il mondo.

 

I «miserabili» (come Hillary Clinton ha definito i fan del magnate) hanno portato Trump alla Casa Bianca, una vittoria della destra anti-sistema destinata a spazzare via le riserve di molti elettori europei nei confronti di figure politiche scorrette, ma ora legittimate dall’endorsement di The Donald e company: un processo di consenso per emulazione, un’energia cinetico-politica che potrebbe passare da Hofer a Marine Le Pen, da Vienna a Parigi, ad Amsterdam a Berlino a Budapest. «The charming populist», l’ha definito il Daily Thelegraph, secondo cui l’approccio soft di Hofer è controbilanciato dalla gravitas del suo incedere claudicante, conseguenza di una caduta in parapendio nel 2003 che gli lesionò la spina dorsale.

«Cerbiatto feroce», «lupo travestito da agnello», dicono a Vienna, dove impazza il gioco di scarabocchiare la sua immagine con i baffetti da Führer. Lui se ne frega perché non è nelle città dove l’ingegnere aeronautico e sconosciuto addetto stampa del Fpö nel Burgenland è decollato: alle elezioni di maggio il 70 per cento dei suoi voti è arrivato dalle periferie operaie, dal contado, dai piccoli agricoltori nemici di Bruxelles e dalle valli sempre più abbandonate da uno Stato che pare girare le spalle alle Alpi e alle mucche per investire nell’eccellenza di Vienna, da anni ai vertici mondiali per qualità metropolitana della vita.

 

È oltre le mura delle città, in Austria come nel Mid West, che certe parole d’ordine funzionano: il richiamo antimoderno alla tradizione, all’orgoglio, all’integrità etnica, a una comunità unita dal sentimento d’appartenenza, insomma quella intima, patriottica ed esclusiva Heimat che Hofer qui a Pinkafeld coltiva abilmente con una retorica acquisita in anni di «neurolinguistica applicata», l’arte di far giungere messaggi a bersaglio apparendo disarmati e ingenui, come quando promette di rimpatriare tutti i rifugiati musulmani arrivati negli ultimi 12 mesi (in Austria sono 100mila i richiedenti asilo in una popolazione di poco più di otto milioni di austriaci), o di mettere fuorilegge il burka.

 

Nel suo manifesto ha addirittura riesumato parole off limits nel lessico tedesco come volksgameinschaft, il richiamo all’unità delle genti germaniche.

I media e la sinistra lo accusano di apologia del nazional socialismo, ma improvvisamente non trovano più ascolto, soprattutto dopo il ribaltone di Washington: «Siamo stati offesi e umiliati per tanti anni», dice Roland Schispek, 69 anni, medico in pensione, «io stavo a sinistra, ma sono stanco di questi poliziotti metropolitani della parola, se non sei femminista sei nazista, se non sei ambientalista sei un troglodita… Hofer non vincerà per il voto anti Bruxelles o anti immigrati, vincerà perché vogliamo riprenderci la libertà di parola. Come? Votando».

 

Potrebbe essere il primo presidente di destra-destra a essere eletto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Addirittura nella terra che ha dato i natali a Hitler. Hofer avrà il potere di nominare Cancelliere l’uomo forte del partito, Heinz-Christian Strache, assai meno charmant di Hofer e con un approccio molto più muscolare, ad esempio nel dichiararsi vicino a Marine Le Pen, a Frauke Petry di Alternativa per la Germania e all’olandese Geert Wilders, «alleati nel combattere l’invasione islamica».

Altri sono i rapporti che si profilano nei confronti dei confinanti del Sud. I dioscuri nazionalisti austriaci non celano i loro sentimenti anti-italiani nell’auspicare l’autodeterminazione dei tedeschi dell’Alto Adige e alla creazione del Grande Tirolo: «Bisogna rimarginare la ferita, tornare uniti», ha detto recentemente Strache. «Ci sono ora le condizioni per un solo Tirolo», ha detto nel 2015 Hofer.

 

Non è forse un caso che negli ultimi tempi c’è gran esibizione di mauser nelle parate degli Schützen tirolesi e a Bolzano con sempre maggiore disinvoltura si cancellano nomi e simboli italiani. Sentono che oltre il Brennero sta cambiando l’aria, è arrivato il momento propizio tanto atteso.

 

ilgiornale.it

 

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