Nello Stivale le calzature son sempre state utili.
Ricordiamo l’ottimanima di Achille Lauro, o’ Capitano, cui le pessime malelingue attribuirono l’ormai proverbiale leggenda metropolitana che ai suoi “sostenitori” egli regalasse una scarpa prima del voto; l’altra dopo, solamente se riceveva sufficienti preferenze.
A fare il paio, giungono oggi i suoi emuli contemporanei, con le sòle 2.0: stendendo un velo pietoso sulle famose dentiere della Berlusca, decisamente superate, ecco che gli attuali amministratori delegati della Res Publica si cimentano in una Legge Finanziaria 2016-2017 “natalizia” (per la quale lo stesso ministro Padoan fatica a celare l’imbarazzo) con un’interminabile lista di bonus, le facili assunzioni negli Enti statali e parastatali, i rinnovi contrattuali di vertenze bloccate da secoli, la conferma degli arcinoti ottanta euro ai dipendenti con salari medio-bassi e - nientemeno - la tredicesima per i pensionati al minimo (ovvero alla-canna-del-gas), oltre all’opzione A.P.E. per anticipare l’uscita dalla professione, a proprie spese, mediante mutuo cravattaro e assicurazione obbligatoria vita-natural-durante (l’Inps spera breve) … Per tenere in sella gli amichetti che non disturbano i manovratori, l'Unione Europea di Juncker si tapperà scimmiescamente naso, occhi e bocca (in seguito, scampato il pericolo, ci faranno vedere i sorci verdi).
Che meraviglia! Peccato che il miraggio di un simile bengodi scomparirebbe se i sudditi osassero voltare le spalle al dinamico premier rignanese e si opponessero alla “boscosa” Riforma di Buona Costituzione (schiforma o schifezza, rispettivamente a giudizio di Travaglio e Cacciari), cui l’inquilino abusivo di Palazzo Chigi e i suoi accoliti legano il proprio destino d’incollamento alle poltrone (la Massoneria, artefice del Risorgimento, già sembrerebbe in odore di abbandono del suo pupillo).
Eppure - strombazzano e starnazzano parlamentari e sottosegretari da mane presto a tarda sera su ogni sorta di media, dal satellite ai citofoni - “si tratta di misure indispensabili, a lungo attese” (che combinazione che arrivino puntuali alla vigilia del referendum!), “a favore delle fasce più deboli”.
Soldi in più a povere vecchiette ritirate e ad impiegati piegati dalla crisi non servono?
Sì.
Incrementare gli stipendi di insegnanti, militari e forestali non serve?
Sì.
Il secondo mocassino per camminare dritti su due gambe non serve?
Sì.
Rimangono comunque pelose elemosine clientelari o ciniche mancette elettorali a gente tenuta appositamente nell’indigenza e nell’ignoranza.
Intanto Fitch annuncia l’outlook negativo sullo sviluppo economico del Belpaese (chissenefrega!) e l’Istat certifica il flop - per esprimerci in corretto itanglese - del Jobs Act, che agli im-prenditori ha portato in dono parecchi miliardini di sgravi contributivi, magari da reimpiegare in delocalizzazioni spinte, mentre i lavoratori, o aspiranti tali, insieme all’abolizione dell’articolo 18 - di valenza simbolica (però i simboli pesano, domandate ai Gran Maestri d’Oriente), nonché di pratica monetizzazione per vertenze in tribunale - han perduto qualsiasi speranza di sfuggire alla precarietà permanente e ad un futuro d’insicurezza e ricattabilità, giù giù verso il caporalato camuffato coi voucher.
Domanda: chi paga il conto?
Pantalone, ovviamente. Anzi, i suoi discendenti. Perché le coperture di bilancio sono in deficit e le salderanno, con gli interessi, i giovani e le generazioni a venire (antinepotismo!…).
Poi spunta addirittura il condono fiscale sui contanti, norma ribattezzata “salva Corona” (nessuna connessione con la monarchia o con Emanuele Filiberto di Savoia, spesso magari vittima del paparazzo), ufficialmente elegantemente etichettata voluntary disclosure: ne usufruiranno onestuomini di varia ed eventuale estrazione mafiosa, dagli spacciatori agli strozzini. Se l’avesse concepita e partorita la mente dell’ex Cavaliere, gli eredi del picì-pidiesse-pidì, che adesso invece la dettano ed applicano, lo avrebbero condotto a calcinculo, coi loro partitici piedoni ambisinistri unidestri, in Campo dei Fiori, per arderlo sul rogo.
In conclusione del presente, troppo pletorico editoriale domenicale, crediamo sarebbe il caso che, col gentil permesso di rigormontiani filomerkelisti, nazional-renzisti verdiniani subnapolitani e scendilettiani, con o senza Tod's, noi del bovino “volgo che nome non ha” (Adelchi) tornassimo finalmente a scegliere democraticamente i nostri governanti, ai seggi per le Politiche.
In attesa del summenzionato momento liberatorio, non il 5 maggio, ma il 4 dicembre prossimo, “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”, avremo la dignità di sciogliere nell’urna “un cantico che forse non morrà” di no, no, no?!?
Enrico S. Laterza
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