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Bridget Jones’s Baby – Bridget è tornata!
A quindici anni di distanza dai primi film, ecco di nuovo al cinema la single imbranata più amata del mondo, tra piacevoli ritorni e ovvi invecchiamenti
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Anno: 2016

Titolo originale: Id.

Paese: Regno Unito

Durata: 122 minuti

Genere: Commedia

Regia: Sharon Maguire

Soggetto: Helen Fielding (personaggi)

Sceneggiatura: Helen Fielding, Dan Mazer, Emma Thompson

Cast: Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey, Emma Thompson

 

Un’apertura folgorante: Bridget in pigiama, sola nel suo vecchio appartamento, con una tortina di compleanno davanti, spegne la candelina ascoltando per l’ennesima volta la depressiva All By Myself di Céline Dion; poi decide che ne ha abbastanza, manda a quel paese tristezza e solitudine e si mette a ballare in giro per casa Jump Around, tormentone hip hop anni Novanta, ricordando a noi spettatori perché la amiamo.

Sono passati quindici anni da Il diario di Bridget Jones e dodici da Che pasticcio, Bridget Jones!, e se chi ha riso e si è divertito vendendoli tiene a mente cosa comporta il passare dei decenni, anche in questo caso passerà due ore più che allegre e piacevoli. Sceneggiato come i precedenti dalla creatrice di Bridget, la scrittrice inglese Helen Fielding, Bridget Jones’s Baby non prende però spunto dal terzo romanzo Un amore di ragazzo, immensa delusione per le lettrici che vi hanno trovato l’eroina mamma di due figli ma vedova dell’adorato Mark Darcy, sancendo così l’aborto di una riduzione cinematografica, reinventata invece con Mark vivo e vegeto.

Superati i quaranta e archiviata la liaison con Darcy, Bridget si gode la sua nuova linea e il suo lavoro come produttrice televisiva; contornata dagli amici di sempre che hanno almeno un paio di figli a testa, è relegata nel ruolo di madrina, finché una notte di passione con un brillante americano e un ritorno di fiamma con Mark la lasceranno con un’inaspettata novità, un bambino in arrivo con due possibili padri.

Ritrovare i personaggi dei film precedenti è come un ritorno a casa, dove si riconosceranno figure fondamentali come i tre amici ex compagni di avventure, ora genitori più o meno seri, gli strampalati genitori di Bridget (interpretati magnificamente dai veterani del cinema inglese Jim Broadbent e Gemma Jones), e ovviamente l’affascinante avvocato Mark Darcy, un Colin Firth parecchio invecchiato ma sempre charmant. Cattive notizie per le fan di Daniel Cleaver, l’altro ex storico di Bridget, mascalzone sexy interpretato nei film precedenti da Hugh Grant, il quale ha declinato l’offerta di apparire nel nuovo capitolo (o quasi…).

Dopo una bufera di critiche piovute addosso all’attrice per una presunta chirurgia plastica (in un periodo abbastanza recente in cui, effettivamente, aveva cambiato espressione), Renée Zellweger torna a vestire splendidamente i panni del personaggio che l’ha resa universalmente nota e apprezzata, nonostante questa volta si sia con tutta probabilità rifiutata di ingrassare nuovamente per interpretarlo. Gli spettatori italiani non lo sanno, ma l’attrice, texana, ha fatto fin dal primo film un immenso lavoro di dizione per simulare un accento perfettamente britannico.

Esilarante e imperdibile il ruolo cucito sulla comicità di Emma Thompson, anche co-sceneggiatrice, che vediamo nei panni della ginecologa di Bridget, sardonica e lapidaria nell’assistere al balletto dei probabili paparini; divertentissima la sequenza in cui ripete due volte la prima ecografia con battito del cuoricino a beneficio dei due ignari uomini.

La new entry del film, il baldanzoso americano Jack Qwant interpretato da Patrick Dempsey (noto per Grey’s Anatomy), funge da efficace sostituto di Hugh Grant e da contraltare alla maniacalità dell’algido Mark Darcy, con il quale ingaggerà una gara al miglior futuro padre fino a formare con lui un’improbabile alleanza. Lo spunto, seppur non originalissimo, strappa parecchie risate, e il perfetto equilibrio tra i tre interpreti unito a una buona scrittura frutta in un film godibile e spensierato.

Gli anni sono passati, e si vede. Si vede sul volto degli attori, nelle dinamiche relazionali inevitabilmente trasformate dalla tecnologia contemporanea, dal confronto quasi straniante con le immagini dei film precedenti. Bridget Jones è invecchiata, e forse lo sono un po’ anche la sua immagine e la sua verve comica, non perché non ci faccia sorridere, ma perché il tutto ha un leggerissimo sapore di già visto – esempio per eccellenza, l’eterna indecisione di Bridget tra due uomini, riecheggiata nella locandina del film, troppo simile a quelle dei primi due. Ciononostante, è invecchiata bene, poiché riesumare personaggi ben riusciti di quindici anni fa avrebbe potuto generare mostri ben peggiori, e se Bridget è un po’ meno Bridget del solito perché è magra, sicura di sé e leggermente più saggia, è comunque la solita imbranata, pasticciona e combina guai che abbiamo amato e in cui ogni donna si è suo malgrado rivista.

Da un certo punto in poi il film viene instradato su un confortante percorso prevedibile, ma tutto sommato è ciò che ci si aspetta e in cui si spera, e l’esito avrebbe deluso diversamente; in fondo, pur sempre di commedia romantica si tratta.

Dietro la macchina da presa ritroviamo la regista Sharon Maguire, che diresse molto bene il primo capitolo della serie.

 

Con un pizzico di riflessioni serie in più e una massiccia dose di nostalgia che scaturirà inevitabilmente in tutti gli affezionati spettatori (ricordate il maglione con la renna di Mark?), Bridget Jones’s Baby non sarà indimenticabile come il primo film, ma segna un ritorno che sarà accolto a braccia aperte da chi ha amato i personaggi e l’ironia di questa favola moderna, imperfetta e molto, molto divertente.


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