Le avvisaglie erano già partite dalla Confindustria, dalla Commissione Europea e dalla banche d’affari. Nei giorni scorsi anche l’Ocse ha attestato la frenata della nostra economia e taglia le stime del PIL nel 2016 (- 0,2) e per il 2017 (-0,6). Gli altri Paesi non stanno meglio, ma il dato che relega l’Italia a fanalino di coda è dovuto alla latitanza degli investimenti determinati in gran parte da una sfiducia diffusa e persistente nel Paese.
E’ innanzitutto una crisi della speranza, con ripercussioni inevitabili sull’economia. E’ insomma una crisi morale: qualcosa dunque di fronte a cui i politici, i capitani d’industria e i grandi banchieri sono inermi. Occorre piuttosto l’intervento di un’autorità morale.
Chi però ha l’autorità morale che è necessaria per intervenire? Non la politica, non l’alta finanza e nemmeno l’intellighenzia. C’è però nel nostro Paese un’autorità morale largamente riconosciuta, anche se troppo spesso dormiente e in altre faccende affaccendata: si tratta della Chiesa.
In piena contraddizione con la cultura “ufficiale” dei mezzi di comunicazione di massa, sondaggi recenti confermano che il 49% della gente in Italia si definisce cattolico praticante e il 65% dichiara di avere molta o moltissima fiducia nella Chiesa (cfr. Renato Mannheimer, Demoskoppiati? Jaca Book, 2016).
Stando così le cose, una lettera pastorale collettiva dei vescovi italiani sul tema della speranza, e su quello della famiglia come motore di sviluppo, potrebbe rappresentare un provvidenziale fulmine a ciel sereno?
Solo la Chiesa ha l’autorità morale necessaria per toccare questi argomenti a un livello che li metta al riparo da strumentalizzazioni politiche di corto respiro. E nessuno più della Chiesa può ottenere ascolto al riguardo. Poi la politica vedrà se e quanto tenerne conto, ma è importante che in un caso del genere la Chiesa si rivolga direttamente alla coscienza del popolo, e non al potere dei politici.
Mai nel nostro Paese la politica nel suo insieme, da destra a sinistra, è stata tanto squalificata come oggi. Il 72% degli italiani la vede come qualcosa di negativo.
Renzi, forse più di altri dà l’impressione di rendersene conto, ma non per questo riesce a rompere l’incantesimo. Questo benché per la maggior parte del suo tempo sia alla ribalta, impegnato senza tregua a promuovere se stesso e il proprio governo. Con un uomo come lui e con un governo come il suo, l’uscita dalla crisi - ci continua a ripetere - è ormai a portata di mano.
I fatti non smettono però di confermare che la situazione non migliora affatto. Anzi, rispetto ai Paesi con cui dobbiamo confrontarci, sta peggiorando. E’ in primo luogo significativo che in Italia gli investimenti delle imprese continuino a essere in diminuzione, mentre nel frattempo in Germania e in Francia sono tornati ai livelli precedenti al 2008, quando cioè iniziò la crisi.
E tutto questo benché da due anni i tassi di interesse siano vicini allo zero e ci sia abbondanza di capitali disponibili grazie alla liquidità che la Banca Centrale Europea distribuisce anche alle nostre banche a piene mani.
Le ragioni immediate e specifiche di questa mancata crescita degli investimenti sono diverse, ma in ultima analisi si riassumono tutte nell’insufficienza di una risorsa che nessuna banca può erogare, ossia appunto la speranza per sé e per la propria famiglia, che poi si amplia a comprendere la speranza per la propria terra e il proprio Paese.
Rientra nella medesima prospettiva anche l’altissimo tasso di abbandono degli studi universitari (il 45% degli iscritti abbandona senza conseguire alcun titolo), e il fatto che il numero dei laureati tra le persone comprese tra i 25 e 34 anni (24%, già basso rispetto alla media europea) ha smesso di crescere.
Si potrebbero poi citare anche altri dati, tra cui in primo luogo la crisi demografica, che comunque non ha solo le cause socio-economiche di solito addotte per giustificarla; altrimenti, diciamo tanto per fare un esempio, tra il 1941 e il 1944 non sarebbe dovuto nascere quasi nessuno.
Renzi ormai si trova costretto ad ammettere che “il nostro PIL sta ripartendo troppo piano”: una frase che gli consente quella di campione nella scelta degli eufemismi. Renzi dà l’aria di essere la tipica persona dalla quale non ti fideresti a comprare un’auto usata.
Siamo insomma agli antipodi di quell’autorità morale del cui intervento c’è urgente bisogno. L’intervento della Chiesa potrebbe smovere le coscienze e riaccendere la fiducia? Forse…
Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it