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TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: Le donne soldato
Dalle Amazzoni della mitologia greca alle vivandiere, dai “Battaglioni femminili della morte” russi alle pin up di Bartek Drejewicz passando per la dea Athena (o Minerva), Santa Giovanna d’Arco, l’Italia del Ballo Excelsior, il Piemonte guerriero al femminile del monumento torinese alla spedizione in Crimea
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LEGGI L'ARTICOLO "GEMELLO" DEL TANDEM

Donne soldato al cinema

La dea Athena (o Minerva), Santa Giovanna d’Arco, l’Italia del Ballo Excelsior, il Piemonte guerriero al femminile del monumento di Luigi Belli alla spedizione in Crimea, inaugurato a Torino il 1° giugno 1892, sono personaggi reali o allegorici, molto differenti tra loro ma accomunati dal fatto di essere donne che indossano un armamento tipicamente maschile.

Quello delle donne soldato è il tema di questo scritto che, come al solito, procede senza pretese di esaustività ma per flash suggestivi.

La più radicata idea delle donne soldato è rappresentata dalle Amazzoni della mitologia greca: un popolo di donne guerriere, discendenti dal dio Ares (Marte romano) che vivono senza uomini, governate da una regina. Per la riproduzione, si accoppiano in primavera con i maschi di un popolo confinante; i figli maschi sono eliminati oppure usati come schiavi.

La loro principale attività è la guerra, combattono di preferenza a cavallo (per questo motivo si indicano come “amazzoni” le donne cavallerizze) e costituiscono un universo femminile in lotta con gli eroi greci come Bellerofonte, Eracle (Ercole), Teseo, re di Atene, e Achille, nel corso della guerra di Troia.

Si afferma spesso che le Amazzoni amputavano una mammella alle bambine perché potessero più agevolmente usare le armi: le numerose pitture e sculture le mostrano però sempre con il seno integro.

L’arte figurativa greca predilige il tema delle Amazzoni: in numerosi vasi a figure nere e a figure rosse, appaiono come donne armate, a cavallo o a piedi, che combattono contro eroi greci. Talvolta usano l’arco, altre sono armate di ascia. Frequente l’immagine di un guerriero che afferra una Amazzone per i capelli.

Al tempo di Fidia (V secolo a. C.), nelle pitture e nei fregi dei templi, i corpi delle Amazzoni sono raffigurati coperti da corte tuniche, col vento che induce quello che noi oggi chiamiamo “effetto maglietta bagnata”. Sullo scudo della Athena Parthenos di Fidia, dove appare un combattimento contro le Amazzoni, per la prima volta, una di queste guerriere è raffigurata con un seno scoperto, particolare che diventerà la loro caratteristica peculiare.

I grandi artisti del V secolo a. C., Policleto, Fidia ed altri non ritraggono più l’Amazzone come protagonista di scontri violenti, spesso brutali. Plinio il Vecchio scrive di una gara istituita dal Santuario di Artemide di Efeso, intorno al 435 a.C., per la realizzazione di una scultura di Amazzone ferita: vince Policleto, Fidia è secondo, Cresila terzo, Cidone quarto e Fradmone quinto.

Di queste opere sono rimaste copie di epoca romana su cui gli studiosi discutono, e si accapigliano, per identificarle e attribuirle ai diversi scultori.

Le Amazzoni trovano riscontri nella realtà: una società con regole molto simili a quelle descritte dal mito greco viene scoperta dal conquistador spagnolo Francisco de Orellana, nel 1542, mentre percorre il fiume Marañón, quando viene attaccato da un gruppo di donne indigene guerriere. Il fiume prende così il nome di Rio delle Amazzoni.

Erano chiamate Amazzoni le soldatesse guardie del corpo di Gheddafi: la giornalista francese Annick Cojean, ha raccolto le loro tremende testimonianze nel libro “Le prede: nell’harem di Gheddafi” (2012).

Il mito delle donne guerriere ha affascinato artisti e scrittori: Camilla, la donna guerriera dell’Eneide, e nel Rinascimento, Bradamante (Orlando innamorato), Marfisa (Orlando furioso) e Clorinda (Gerusalemme liberata).

A loro sono dedicate delle saghe, la più famosa in Italia è quella di Gianluigi Zuddas, formata da 4 romanzi di heroic fantasy apparsi fra il 1978 e il 1984. Compaiono in un albo fumetti di Zagor, ambientato nella foresta amazzonica.

Le Amazzoni rappresentano dunque l’aspetto leggendario delle donne soldato che, nella realtà, si concretizzano con le vivandiere.

Fin dai tempi remoti, il compito di  vendere ai soldati cibi, bevande ed altre cose necessarie, nelle caserme ma anche ai campi di addestramento e in guerra, viene svolto dai vivandieri. Presenti negli eserciti dell’antica Roma e in quelli dei secoli successivi, i vivandieri seguono i soldati portando i loro prodotti in spalla oppure su carri. Queste incombenze vengono in seguito eseguite anche da donne: le vivandiere, di solito mogli di soldati veterani o di sottufficiali arruolati nei reparti militari. Presenti fra i lanzichenecchi dell’imperatore Massimiliano, nei secoli XVII e XVIII, il loro impiego si generalizza rapidamente anche negli eserciti delle altre nazioni. Vestono stravaganti uniformi militari, che uniscono elementi maschili e i distintivi del reggimento di appartenenza ad altri tipicamente femminili. Le caratterizza il bariletto di liquore portato ad armacollo che – absit iniuria verbis! - ricorda i cani San Bernardo delle barzellette.

Non è qui possibile elencare tutte le donne che da vivandiere si sono trasformate in combattenti e quelle che, per amore si sono arruolate travestite da uomo, episodi avvenuti durante le guerre napoleoniche, la guerra civile americana, la spedizione dei mille di Garibaldi. La partecipazione femminile alle guerre del periodo risorgimentale è una scoperta recente (ricordo che nel 1961 non se ne era parlato). Particolarmente legata al nostro discorso è la mostra “Vivandiere umili e dimenticate protagoniste del Risorgimento” presentata nel 2015 dalla “Casa della poesia di Monza”.

Il grande numero di incisioni e litografie dedicate alle vivandiere dimostra l’attenzione e la simpatia largamente condivise nei loro confronti. Il personaggio della vivandiera entra anche in opere liriche e balletti: ricordiamo “La figlia del reggimento”, opéra comique in due atti di Gaetano Donizetti (1840) e il balletto “La Vivandière” (“Markitenka” in Russia) di Arthur Saint-Léon e Fanny Cerrito, musicato da Cesare Pugni, messo in scena a Londra, il 23 maggio 1844 con prima ballerina Fanny Cerrito nella parte della Vivandière.

Al tempo della prima guerra mondiale negli eserciti dell´Europa occidentale le donne svolgono compiti di infermiere e centraliste. Sono note pochissime vicende di soldatesse, tra queste quella di Victorija Savs, che si dichiara maschio per arruolarsi nell’esercito austriaco.

Le novità più significative vengono dalla Russia, unica nazione belligerante che recluta reparti combattimenti totalmente femminili. Anche se nell’Impero russo era vietato il reclutamento femminile, numerose donne entrano in reparti dell’esercito, travestendosi da uomo e con altri sotterfugi. Alcune sono apertamente accettate, perché ai comandanti spetta la decisione finale sul reclutamento dei volontari. Uno dei casi più celebri è quello di Marija Bockareva, contadina, che si arruola a 25 anni nell’esercito russo, dopo aver chiesto e ottenuto l’autorizzazione ufficiale di Nicola II. Dopo aver conquistato sul campo la stima dei suoi commilitoni e il grado di sergente, nel 1917, Marija è incaricata dal governo Kerenskij della formazione di un battaglione costituito da sole donne. L’iniziativa aveva soprattutto finalità di propaganda: i reparti femminili dovevano dare un buon esempio all’esercito russo demoralizzato, restio al combattimento e logorato dalle diserzioni. All’appello di Marija, nota col nome di battaglia di Jaska, rispondono più di duemila volontarie. Il “Battaglione femminile della morte” porta al fronte 300 soldatesse e, nel luglio del 1917, combatte contro i soldati tedeschi. Quella della Bockareva è l’unica formazione combattente, le altre si stanno ancora addestrando nelle retrovie.

Nella sera del 6 novembre 1917, quando i bolscevichi iniziano a Pietrogrado quella che sarà indicata come la “rivoluzione d’ottobre”, il Palazzo d’Inverno era difeso anche da un contingente di volontarie del 1° Battaglione femminile di Pietrogrado.

Un significativo impiego bellico di donne avviene durante la seconda guerra mondiale: nazioni come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna le impiegano in servizi ausiliari, l’URSS addirittura in combattimento.

In Italia, nella Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), è creato il Servizio Ausiliario Femminile, con durata limitata al periodo di guerra. Le appartenenti sono dette “ausiliarie”. Nel Regno del Sud, che combatte con gli Alleati, viene istituito il CAF (Corpo di Assistenza Femminile), sciolto alla fine della guerra.

L’ammissione di donne al servizio attivo negli eserciti occidentali inizia dagli anni ‘70 del Novecento, anche non tutte le nazioni consentono loro di svolgere ruoli di combattimento attivo. L’Italia, con la legge 20 ottobre 1999 n. 380, ha concesso alle donne l’arruolamento volontario nelle forze armate per il servizio militare effettivo, ultima fra le nazioni appartenenti alla Nato.

Negli Stati Uniti, al tempo della seconda guerra mondiale, vi è stata una produzione di pin-up in veste guerresca, spesso per invitare all’arruolamento di volontari. Questa produzione è continuata anche successivamente, a dimostrazione che la donna soldato riscuote vasto interesse e simpatia, almeno da parte maschile...

Un esempio significativo viene da Bartek Drejewicz , artista di origine polacca che ha realizzato una vastissima serie di tavole di uniformi militari di epoche e nazioni estremamente variegate, indossate da ragazze in perfetto stile pin-up. L’uniforme è perfetta in tutti i dettagli, ma è aderentissima alle curve mozzafiato e lascia scoperte aree suggestive del corpo della modella: la giacca permette di intravedere i seni poderosi, il gilet corto e i pantaloni a vita bassa lasciano scoperta la zona intorno all’ombelico, le calzature, di qualsiasi tipo, hanno sempre tacchi vertiginosi. L’idea a quanto pare ha funzionato, visto che le pin up di Bartek compaiono non solo in libri ma anche in mazzi di carte e statuette.


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