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Fondo Monetario Internazionale le valutazioni e le raccomandazioni all’Italia.
La crescita nominale è ancora troppo debole.
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Nella scorsa primavera, il Fondo monetario internazionale  aveva alzato all'1,1% dall'1% la stima di crescita dell'economia italiana nel 2016 ma aveva anche avvertito  che le previsioni sono affette da rischi al ribasso.

I tecnici di Washington sostengono che la volatilità dei mercati finanziari, l’effetto Brexit, l'emergenza immigrazione ed i "venti contrari generati dal rallentamento delle attività commerciali a livello mondiale" potrebbero affievolire la già modesta fase di ripresa del nostro Paese.

Nella migliore delle ipotesi, il prodotto interno lordo dovrebbe crescere di circa l'1,25% nel 2017-2018, mentre per il ritorno a livelli di produzione pre-crisi (2007) bisognerà aspettare la metà del prossimo decennio, Il governo ha indicato per quest'anno una crescita dell'1,2%, per il 2017 dell'1,4% e per il 2018 dell'1,5%.

La crescita nominale potrebbe essere troppo debole per risolvere stabilmente le fragilità finanziarie ed i bilanci potrebbero continuare a costituire una fonte di vulnerabilità, poiché il loro risanamento richiederebbe un periodo prolungato.

L'FMI dà atto al governo di aver stilato un elenco "impressionante" di riforme e reputa indispensabile che tali sforzi siano ampliati e completati; è dunque importante che per il futuro si mantenga un ampio sostegno politico a favore di un vasto pacchetto di riforme. I  rappresentanti del Fondo hanno anche sollecitato il governo italiano a realizzare un programma ambizioso di privatizzazioni" per un "repentino" calo del debito pubblico.

Peraltro i margini di flessibilità finora concessi dall'Europa all'Italia offrono poi una discreta opportunità e un certo margine  in materia di policy per procedere con maggiore decisione alle riforme strutturali, anche nel settore fiscale". Per il 2016 Bruxelles ha accordato all'Italia una flessibilità per il deficit dello 0,85%, considerata senza precedenti.

Il Fmi chiede all'Italia una riforma della contrattazione collettiva "che allinei i salari alla produttività", intervento che contribuirebbe a migliorare la competitività e a integrare il Jobs Act.

Ricordiamo che nel frattempo il nostro  governo ha rinviato a dopo l'estate una riforma che valorizzi il secondo livello di contrattazione.

Secondo il Fondo,  ridurre in modo significativo l'alto cuneo fiscale potrebbe richiedere difficili scelte politiche, che inoltre dovrebbero riguardare  possibilmente anche gli alti livelli di spesa sociale e l'introduzione di una moderna tassa sugli immobili, tenendo conto che è fondamentale  non compromettere la sostenibilità del sistema pensionistico".

Infine, secondo il FMI, la prossima legge di Stabilità dovrebbe contenere un intervento per rendere più flessibile l'uscita dal lavoro e almeno una ricerca finalizzata alla riduzione stabile del cuneo fiscale e contributivo; non da ultimo sarebbe auspicabile un ampliamento delle basi imponibili, comprensivo della razionalizzazione delle relativamente alte spese fiscali che sarebbero un ulteriore passo nella giusta direzione.

La politica di bilancio dell'Italia  dovrà dunque trovare un difficile equilibro tra la riduzione dell'alto livello del debito pubblico ed il sostegno alla crescita. Dopo il "considerevole aggiustamento" del 2012-13, ora la politica fiscale ha assunto un orientamento maggiormente a sostegno della crescita, come osservato anche nell'anno in corso. Sebbene ciò abbia sostenuto la domanda interna in un momento di bassa crescita, ha altresì esaurito gli inaspettati vantaggi legati al calo della spesa per interessi e il rapporto debito-Pil ha continuato a crescere.                                                                                               

 

 

 

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