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Burkini: usi e ..... costumi
"Affaire" che va a toccare nervi scoperti dell'opinione pubblica
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 Sta tenendo banco sui media, in questi giorni di mezza estate, una questione, o una polemica che dir si voglia, solo apparentemente futile ma che in realtà, a giudicare dal clamore suscitato, va a toccare nervi scoperti dell'opinione pubblica e assurge a simbolo di sentimenti e situazioni oggi particolarmente presenti nella vita e nell'animo dei cittadini.

Stiamo parlando, ovviamente, dell' "affaire" burkini (mai come in questo caso il francese è d'obbligo!).

Una breve cronistoria: Il sindaco di Cannes (seguito a ruota da quello di Villeneuve-Loubet e di Sisco, in Corsica) ha emeso un'ordinanza in cui, molto semplicemente, vieta l'accesso alle spiagge alle donne che indossano l'unico costume da bagno ammesso dall'ortodossia islamica, cioè un indumento, goffo al limite del ridicolo, che le ricopre quasi totalmente a mo' di tuta da ginnastica, lasciando un minimo di libertà di movimento in più rispetto al burka tradizionale e subito battezzato, con efficace crasi, per l'appunto "burkini".

La motivazione è palese, comprensibile e, a modesto parere di chi scrive, condivisibile: è la risposta chiaramente politica e, sopratutto, di opportunità, di una Francia più volte e in diversi luoghi brutalmente ferita dal terrorismo islamico, di una Francia legittimamente attenta al sentire popolare,  inteso come maggioranza della popolazione (non ci risulta alcuna levata di scudi in proposito da parte della cittadinanza non islamica) e quindi, in definitiva, un provvedimento che va in direzione della democrazia (giova ricordare l'etimo della parola: governo del popolo e quindi della maggioranza) e non contro di essa, un provvedimento che , in buona sostanza, vuol dire a chi ha orecchie per intendere: non ci sbattete in faccia un altro simbolo che ricordi quanti lutti, i più integralisti tra voi musulmani, hanno inflitto alla Francia, non ostentate le vostre usanze e, anche, cercate di fare in modo che la parola "integrazione" non sia uno slogan privo di significato.

Ed è questo l'altro messaggio che, con tutta evidenza, si vuol lanciare: la cosiddetta integrazione, ammesso e non concesso sia possibile, passa anche attraverso quell'abbigliamento, quell'atteggiamento, quei segnali esteriori che comunque hanno la loro grande importanza e che, lo vediamo anche nel nostro Paese tutti i giorni, vengono bellamente ignorati da coloro che si vorrebbe "integrare"; che poi tale abbigliamento (come nel caso in questione) riguardi essenzialmente la donna, non è altro che l'ennesimo indicatore di quanto lontani e prevedibilmente inconciliabili siano i due mondi, quello occidentale e quello islamico in cui proprio la concezione, la considerazione della donna pare essere lo spartiacque più evidente e, quel che è più grave, senza che alle viste vi sia alcuna avvisaglia di cambiamento!

L'iniziativa "anti-burkini" ha richiamato anche l'attenzione di "Frau" Merkel che, se pur non approvandola incondizionatamente, ne ha riconosciuto l'opportunità ed ha ventilato l'ipotesi di adottare,quanto meno nei confronti del burka tradizionale e del velo, qualche provvedimento similare, almeno negli uffici pubblici.

In Italia, il ministro Alfano ha subito e decisamente sconfessato l'iniziativa, escludendo possa essere adottata in quanto  provocatoria e possibile fonte di ritorsioni ma la cosa evidentemente non ci stupisce più di tanto, visto l'imperante "buonismo" nei confronti dei nostri "ospiti non-paganti" e il sovrano disprezzo di cosa ne potrebbero pensare i cittadini al riguardo.

Stiamo parlando di simboli, ripetiamo, ma i simboli sono importanti poichè sono l'indicatore più evidente di situazioni, idee, modi di essere e di pensare, sono segnali che non dovrebbero essere sottovalutati mai, col rischio di trovarsi in situazioni che, a volte, come abbiamo visto, possono divenire drammatiche.

 

                                                                                                       Leonardo Incorvaia

 

 

         

   

 

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