Gli animali superiori possono provare emozioni e sentimenti riconducibili a quelli umani? Cioè sono in grado di sentire gioia, dolore, gelosia, timore, empatia, senso di colpa, come noi?
La domanda non è oziosa in quanto la letteratura scientifico-neurobiologica di questi ultimi anni ha collezionato una serie di dati sperimentali che potrebbero confermare definitivamente questa ipotesi.
Tuttavia considerata la grande eterogeneità degli animali nella scala evolutiva, le ricerche in merito sono state maggiormente indirizzate sui mammiferi più evoluti (cani, delfini, scimmie, ecc.), anche se questo criterio non può escludere quelli classificati arbitrariamente come inferiori.
Charles Darwin è stato il primo scienziato a studiare le emozioni negli animali, individuando rabbia, felicità, tristezza, riluttanza, paura e sorpresa.
Tuttavia l’ avanzamento delle ricerche ha allungato l’ elenco di queste, senza però poter stabilire un evidente parallelismo delle loro forme di comunicazione (ancora in parte sconosciute) con quelle degli umani.
Interessante la segnalazione di “Lifestyle” (D la Repubblica) del 18 marzo 2015 in merito a questa problematica: <<… Marc Bekoff, professore emerito presso l’ Università del Colorado, vincitore di premi Award per la scienza, uno degli etologi cognitivi pioneristici al mondo, co-fondatore con Jane Goodall di “Ethologist for Treatment of Animals” (Etologi per il trattamento etico degli animali), nel suo libro “La vita emozionale degli animali” (Oasi Alberto Perdisa), basandosi sugli studi di un’ ampia varietà di specie, dimostra l’ esistenza della complessa vita emotiva degli animali, sostenendo che questi ultimi hanno grandi capacità intellettive, emotive e morali…>>.
Inoltre sono da tenere in considerazione le conclusioni del team di ricercatori della Emory University di Atlanta (Georgia), guidati dal prof. Gregory Berns, che hanno dimostrato che il nucleo caudato del cervello dei cani, che nell’ uomo si attiva quando è stimolato da espressioni associabili al piacere (ad esempio il cibo, l’amore, il denaro, ecc.), è strutturato e funziona in modo analogo a quello dell’ uomo stesso.
Pertanto si può affermare che nei cani la sua attività neurobiologica aumenta se stimolato al pensiero di esperienze piacevoli. Le suddette conclusioni sono contenute in un editoriale del News York Times dal titolo significativo “Dogs are people, too” (Anche i cani sono persone).
Da questa prima analisi comparativa emerge una categoria di “sentimenti patologici”, tipici del genere umano, dei quali tutti gli altri mammiferi sembrerebbero esserne immuni: la crudeltà, l’ efferatezza, la violenza, le aberrazioni ripugnanti (per esempio l’Olocausto perpetuato dai nazisti, il genocidio dei colonizzatori spagnoli nelle Americhe del centro-sud, degli Europei con i nativi americani [pellerossa] nell’ America del nord, dei nazionalisti turchi verso gli Armeni, dei gruppi tribali in Africa e recentemente i massacri dei fanatici pseudo-religiosi dell’ Isis e organizzazioni affiliate, ecc.).
Altra constatazione di rilievo: gli animali carnivori cacciano solamente per sopravvivere e quindi per una necessità biologica, ma senza mai esprimere una strategia “stragista generalizzata” o di odio nei confronti della preda. Si tratta di un atto istintivo che si esaurisce automaticamente e senza compiacimento con la soddisfazione fisiologica dello stimolo della fame.
E’ comprovato che la comparsa del telencefalo (neocorteccia cerebrale) nell’ Homo sapiens ha permesso la manifestazione della coscienza, del pensiero e anche l’ elaborazione delle emozioni, dei sentimenti, dove queste nuove funzioni hanno comportato, come necessità inspiegabile, anche la presenza della controparte negativa di cui si è sopra accennato.
Tuttavia la fisiologia e l’anatomia comparata evidenziano che anche nella evoluzione dei mammiferi (e non solo) ci sono abbozzi significativi della neo-corteccia, che però allo stato attuale delle conoscenze, non esprimono negli animali le identiche funzioni dei sentimenti negativo-patologici tipici dell’ Homo sapiens.
Tentare di trovare una spiegazione a questa realtà biologica è per ora impossibile.
In ogni caso si può ipotizzare che se l’evoluzione ha dato all’uomo moderno le funzioni cognitive superiori (la coscienza razionale, l’intelligenza, ecc.) e pertanto un potere di dominio assoluto e arbitrario sugli animali, lo stesso meccanismo evolutivo ha affermato anche la speculare presenza dei sentimenti/comportamenti negativo-patologici già ampiamente sopra esaminati.
In pratica appare un binomio di antitesi inscindibile, dove la razionalità e la malvagità umana sono rappresentati in eguale misura, ma che quest’ ultima non trova tuttavia un’ equivalente manifestazione nel comportamento degli animali.
Questa fondamentale caratteristica, che è necessario evidenziare, ha o potrebbe avere una spiegazione?
In sintesi si tratta di un rebus intricato, che attualmente lascia aperte tutte le ipotesi più fantasiose.
Resta un fatto indiscutibile a favore del riconoscimento dell’identità e della dignità degli animali: la testimonianza unica di “filantropia animale” di San Francesco d’ Assisi, tramite il Cantico delle Creature (anche noto come Cantico di Frate Sole) dove, con il verso “ … Laudato sie, mi Signore cum tucte le Tue creature …”, equipara queste con sincera convinzione all’ Uomo, chiamato tuttavia ad una maggiore responsabilità morale in quanto dotato di libero arbitrio.
Infatti tutte le creature, animate o meno, sono considerate in modo positivo e chiamate “fratello” e “sorella”.
Sorprende invece che certe filosofie o dottrine religiose dogmatizzino il concetto secondo cui l’uomo sarebbe “fatto ad immagine e somiglianza di Dio” (Genesi 1:26-27), alludendo implicitamente che la Divinità stessa sarebbe contaminata dall’ingombrante e dal poco edificante fardello che caratterizza la condizione umana.
Una contraddizione clamorosa, che si amplifica ulteriormente se confrontiamo la realtà comportamentale animale, caratterizzata da una emotività e da sentimenti semplici, paragonabili all’ innocenza infantile, con quella umana portatrice da sempre anche di valori negativi, se non di nefandezze.
Nell’ esplorare questo ambito misterioso, con le attuali limitate conoscenze, si potrebbero sollevare probabilmente più interrogativi e problemi d’ordine epistemologico, etico-morale e teologico di quanti se ne potrebbero risolvere.
Un rischio che ha sempre intimidito e scoraggiato tanti studiosi e filosofi della scienza.
Tuttavia il quesito incombe e resta ingombrante come un enorme macigno.
La società umana (o la parte più consapevole di questa), nella speranza di raggiungere una vera e giusta armonia di convivenza tra tutti gli esseri viventi del pianeta, non può pensare di ignorarlo.
Questa esigenza resterà ancora utopia o potrà trasformarsi in un obiettivo possibile?