Non viola il diritto dell’Unione la ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori subordinati in vista dell’autorizzazione, da parte della Commissione, degli aiuti di Stato a favore di una banca sottocapitalizzata.
In seguito alla crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2007, la Banca centrale di Slovenia ha accertato che nel settembre 2013, cinque banche slovene erano sottocapitalizzate. Tenuto conto dell’entità di tale carenza, dette banche non disponevano di capitali sufficienti per soddisfare i propri creditori e coprire il valore dei depositi.
Il 17 dicembre 2013, la Banca centrale di Slovenia ha introdotto misure straordinarie dirette, rispettivamente, alla ricapitalizzazione, al salvataggio e alla liquidazione di tali banche.
Il 18 dicembre 2013, la Commissione, previamente informata dalle autorità slovene, ha autorizzato gli aiuti di Stato destinati alle cinque banche interessate. Le misure in parola, adottate ai sensi della legge sul settore bancario, comprendevano la liquidazione del capitale degli azionisti e dei titoli subordinati.
Su richiesta della Corte costituzionale della Slovenia alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla validità e sull’interpretazione delle disposizioni della comunicazione della Commissione sul settore bancario, con la sentenza in oggetto, la Corte osserva, per quanto concerne l’effetto vincolante della comunicazione nei confronti degli Stati membri, che la Commissione, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, può adottare orientamenti al fine di stabilire i criteri in base ai quali essa intende valutare la compatibilità, con il mercato interno, di misure di aiuto previste dagli Stati membri.
Per quanto concerne la condizione di ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori subordinati in vista dell’autorizzazione di un aiuto di Stato da parte della Commissione, la Corte evidenzia che la comunicazione è stata adottata sulla base di una disposizione del TFUE, secondo cui la Commissione può considerare compatibili con il mercato interno gli aiuti che mirano a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; infatti, le misure di ripartizione degli oneri mirano a garantire che, prima della concessione di qualsivoglia aiuto di Stato, le banche in carenza di capitale operino, con i propri investitori, una riduzione del deficit, in particolare attraverso la raccolta di capitale nonché attraverso contributi dei creditori subordinati, essendo tali misure idonee a limitare l'entità dell'aiuto di Stato concesso.
Quindi, in tema di bail-in nella forma più contenuta del burden-sharing (condivisione del rischio) che significa un bail-in che limita ad azionisti e creditori subordinati il coinvolgimento nelle perdite di una banca, prima che subentri l’aiuto statale, la Corte ha fissato tre punti: il primo precisa che il burden-sharing non è obbligatorio, deve ritenersi però legittimo.
La sentenza precisa che la Comunicazione del 2013 è vincolante per la Commissione, ma non per gli Stati membri. La Commissione è tenuta a considerare compatibili con il Trattato aiuti conformi ai requisiti da essa posti nella Comunicazione, ma gli Stati membri hanno la facoltà di notificare misure che non soddisfano questi requisiti e la Commissione deve motivare un eventuale rifiuto di autorizzarli.
Resta fermo, peraltro, che l’esclusione del burden-sharing costituisce un’eccezione alla regola; come tale, va interpretata restrittivamente, e da ammettere solo in presenza di circostanze propriamente eccezionali.
Secondo punto della sentenza in esame: il requisito del burden-sharing deve considerarsi legittimo. Per la verità, questo requisito non è esplicitamente richiesto dal Trattato, ma la Corte lo ritiene conforme allo scopo perseguito dall’art. 107.3.b, essenzialmente per due ragioni: perché consente di limitare l’aiuto al minimo necessario, riducendo in tal modo il pregiudizio alla concorrenza e perché scoraggia l’“azzardo morale” di decisioni rischiose le cui conseguenze negative finiscono a carico della collettività.
La Corte esclude, d’altra parte, indebite lesioni del diritto di proprietà: è normale che gli azionisti concorrano a ripianare le perdite (e conseguente carenza di capitale) di una banca in crisi. Quanto ai creditori subordinati, la Corte osserva che i loro titoli presentano caratteristiche sia delle obbligazioni sia degli strumenti di partecipazione al capitale. Un loro coinvolgimento nel burden-sharing, peraltro in seconda battuta, risulta pertanto giustificato.
Il terzo punto della sentenza riguarda la retroattività. Per la Corte non vi è lesione del principio di tutela del legittimo affidamento, se il burden-sharing viene applicato in via retroattiva.
Questo intervento giurisprudenziale, in parte anticipato da una sentenza del marzo 2016, va accolta con favore, avendo chiarito diversi punti di una materia complessa, spesso da interpretare.