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Divagazioni sul «sudiciume delle vie di Torino»
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Dalle pagine della “Gazzetta del Popolo, nei primi anni ’50 dell’Ottocento, emerge anche questa denuncia di un degrado cittadino, morale e materiale, indicato dalla sporcizia delle vie, dalle scritte oscene sui muri e dallo scarso rispetto per i tutori dell’ordine.

Lo leggiamo in una lettera pubblicata sulla “Gazzetta del Popolo” di lunedì 5 gennaio 1852:

«Signor Gerente,

Lessi con vivissima soddisfazione in uno degli ultimi numeri della Gazzetta del Popolo una lettera, in cui si lamenta il sudiciume delle vie di Torino e la negligenza nell’esecuzione de’ regolamenti di pulizia urbana.

Certo è disdicevole ad una colta popolazione il vedere imbrattate le strade nel modo in quella accennato, e disdicevole ravviso pure che si lascino sussistere sui muri certe oscene iscrizioni o pitture, che vi si scorgono.

Una cosa però, su cui bramerei eccitar l’attenzione della S.V., onde alzasse l’autorevole sua voce a consigliare il popolo, si è sul poco rispetto verso gli agenti della forza pubblica, incaricati di far eseguire ordini e di arrestar mendicanti e simili.

Non è rado il vedere, che mentre tali agenti procedono ai loro uffizii, sorgono negli astanti improvvisi giudici e difensori, che motteggiano e vilipendono i medesimi; e la scorsa settimana appunto mi trovai presente in via di Po al caso di un arresto di una mendicante, che ricoveratasi in una porta trovò solleciti e compassionevoli campioni, ai cui urli le troppo indulgenti guardie di polizia lasciarono quella donna in libertà.

Egli è necessario d’inculcare al popolo nostro il rispetto alle leggi, ed ai loro esecutori, giacché siamo ancora tanto lontani in ciò dall’educazione del popolo inglese.

Ed i nostri operai reduci da Londra [nel 1851, una delegazione di operai torinesi aveva visitato l’Esposizione Universale di Londra] farebbero opera di buoni cittadini spargendo ne’ loro compagni le osservazioni che essi fecero sul rispetto alla legge, sulla pulizia delle vie ed abitazioni inglesi.

Siamo liberi, sappiamo mostrarcene degni, ed insegniamo ai meno colti che la vera libertà consiste nel rispettare e far rispettare le leggi.

Mi creda ecc.».

Questa lettera affaccia una serie di problematiche di un certo interesse legate al degrado cittadino, non tanto per la questione del sudiciume e delle scritte oscene ma piuttosto per l’indisciplina nei confronti dei tutori dell’ordine.

Premesso che dalla lettera non emerge chiaramente se gli agenti intimiditi che non eseguono l’arresto appartengano alla polizia municipale oppure alla questura, va considerato che si trattava, in entrambi i casi, di polizie nate dalla profonda riforma del 1848. I tempi, dopo questo fatidico anno, erano cambiati, la forza pubblica non poteva più eseguire arresti arbitrari.

I torinesi di bassa estrazione sociale potevano finalmente sfogare l’avversione e l’insofferenza per le forze dell’ordine, covate per molti anni ma dissimulate per timore di gravi ripercussioni.    

È interessante notare come dalla lettera emerga una forte sudditanza psicologica nei confronti dell’Inghilterra vittoriana, che induce l’autore a indicare Londra come modello di pulizia delle vie e delle abitazioni!

L’autore della lettera dà prova poi di una particolare ammirazione per Scotland Yard, la polizia creata a Londra, nel 1829, dal Ministro Robert Peel (1788-1850).

Gli agenti di Scotland Yard, ancor oggi noti come “bobbies” dal diminutivo di Robert, nome del loro fondatore, sono noti per la professionalità, la pazienza e la cortesia con cui svolgono il loro servizio.

Ma la pazienza e la cortesia degli agenti non coincidono sempre con un energico e incisivo controllo della criminalità comune.

Per valorizzare la sua opera, Scotland Yard mette in atto proprio negli anni ’50 dell’Ottocento, una sapiente politica di vicinanza e collaborazione con esponenti della stampa e della letteratura, in particolare con Charles Dickens.

Si può dire che la Polizia londinese acquisisce così meriti superiori a quelli reali e, nella mentalità del cittadino inglese, viene a rappresentare una istituzione sempre rassicurante ed efficiente, a prescindere dai risultati ottenuti.

A Torino, gli ammiratori dell’Inghilterra rimpiangono di non disporre di una polizia efficiente come quella londinese.

Francesco Verasis di Castiglione, marito della celebre contessa, nel 1858, sarà uno dei primi esponenti di una consistente pattuglia di pubblicisti, autori di saggi pervasi di ammirazione per la Polizia di Londra, di cui lodavano in particolare gli agenti disarmati, cortesi, rispettati dai cittadini. 

Forse la realtà inglese è diversa, lo scrive don Giacomo Margotti, sacerdote giornalista torinese cattolico-intransigente, nel suo libro “Roma e Londra. Confronti”, edito a Torino sempre nel 1858, dove sono riportati vari documentati spunti critici nei confronti della Polizia londinese ripresi dalla stampa britannica.

Ma il sacerdote giornalista don Giacomo Margotti, pubblicista e polemista di valore, come scrive Vittorio Messori, era dalla parte di coloro che “persero la guerra”!

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