“Non voglio drogarmi, odio il consumo. E per questo legalizzo”: queste le parole utilizzate da Roberto Saviano in un intervento su Repubblica nel giorno in cui il Parlamento ha discusso la proposta di legge relativa alla legalizzazione della cannabis presentata quasi un anno fa dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova.
L’iniziativa, forte della sottoscrizione di 221 parlamentari appartenenti a schieramenti politici profondamente dissimili (PD, Movimento 5 Stelle, Sel, Forza Italia e Scelta Civica), ha come obiettivo la riforma della disciplina tutt’ora in vigore risalente al lontano 1990, quando fu approvato il Testo Unico 309, meglio noto come “legge Jervolino-Vassalli”.
Il 12 febbraio 2014 la Corte Costituzionale aveva infatti provveduto a bocciare il decreto legge 272/2005 (legge Fini- Giovanardi) pensato appositamente per sostituire tale datata normativa, riscontrando nelle modalità di approvazione dello stesso una violazione dell’art.77 Cost relativo alla procedura di conversione dei decreti- legge: un vizio di forma sufficiente ad interrompere qualsiasi dibattito parlamentare in merito ad un argomento delicato, ma di imprescindibile rilevanza.
La discussione svoltasi in aula lo scorso 25 luglio si è conclusa con un prevedibile rinvio a settembre a causa dei circa 2000 emendamenti presentati (di cui oltre 1300 avanzati da Area popolare), a dimostrazione del fatto che gli sviluppi della vicenda si prospettano tutt’altro che semplici, come affermato da Alessandro Pagano di Area popolare, secondo il quale “La battaglia sulle unioni civili in confronto sarà ricordata come una passeggiata. La legalizzazione della cannabis non passerà mai”.
Al di là di futili minacce, la complessità dell’argomento risulta essere l’inevitabile conseguenza di una politica comunitaria eccessivamente lacunosa: la Convenzione Onu del 1998, che considera reato la “detenzione per uso personale”, rimette infatti ai singoli Paesi firmatari la disciplina della materia, legittimando di fatto la varietà delle politiche applicate.
Cosa prevede quindi la proposta di legge italiana, rubricata “Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati”?
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La possibilità di coltivare per uso personale fino ad un massimo di cinque piante di marijuana di sesso femminile, previa comunicazione all’ufficio regionale dei Monopoli -ma senza che occorra una formale autorizzazione da parte dello stesso- e di costituire gruppi comprensivi di un numero massimo di 50 membri (tutti maggiorenni) sul modello dei “cannabis social club” spagnoli per la coltivazione associata e la consumazione in loco del prodotto;
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la commercializzazione della cannabis con regime di monopolio statale (molto più rigido di quello del tabacco) per la coltivazione, la preparazione e la vendita al dettaglio delle piante. In questo modo sarà possibile creare un sistema di tracciabilità della produzione in grado di controllare i coltivatori ad uso personale o associato, che non rientrano nel monopolio, e i soggetti privati eventualmente autorizzati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a coltivare e a vendere la marijuana in locali dedicati (sul modello dei coffee shop olandesi) nel rispetto di alcuni principi, relativi, per esempio, alla tracciabilità del processo produttivo e al divieto di importazione;
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la detenzione, riservata ai maggiorenni e per uso ricreativo, di una quantità massima di 5 grammi di marijuana fuori dal privato domicilio e di 15 all’interno;
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la proibizione e punizione dello spaccio e del consumo della sostanza in luoghi pubblici, aperti al pubblico ed in ambienti di lavoro, siano essi pubblici o privati;
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la semplificazione dei processi di produzione, acquisto e consegna di farmaci contenenti cannabis da impiegare per scopi terapeutici;
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la destinazione del 5% dei proventi annui (stimati fra i 6 e gli 8 miliardi di euro) derivanti allo Stato dalla legalizzazione del mercato della cannabis al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga.
Si tratta quindi di un tentativo di regolamentare un fenomeno in crescita che necessita di essere arginato e sottratto alle mani della criminalità organizzata; come sintetizza Roberto Saviano, infatti, “Legalizzare è esattamente il contrario della promozione al consumo. Legalizzare significa portare alla luce ciò che fino ad ora è stato avvolto dall’oscurità più cupa del mercato nero”.