"Che età felice quando un uomo può essere inattivo impunemente", scriveva Washington Irving nel 1819. Il sogno di molte persone è quello di fare il meno possibile per "godersi" la vita oziando. L'esatto opposto dell'invito che San Benedetto da Norcia, padre della regola benedettina rivolgeva ai suoi confratelli: “ora et labora” poichè “l’ozio è nemico dell’anima, e perciò i fratelli in determinate ore dovranno essere in lavori manuali, in altre nella lettura divina”.
Chi ha ragione ? Sono passati i secoli ed anche i millenni, ma all'uomo moderno piace ancora oziare, per il puro gusto di farlo perchè, afferma Roberto Gervaso "L'ozio è il padre di molti vizi, ma anche di molti piaceri", riprendendo quel che diceva Robert Louis Stevenson nel suo "Elogio dell’ozio",1877: Dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all'interno del difficile mestiere di vivere". Già il diffile mestiere della vita.... Può capitare che, talvolta, di fronte a tutte le difficoltà da cui è costellato il nostro percorso terreno, vi sia qualcuno che decida di farsi da parte, scegliendo di assistere passivamente lo svolgersi degli eventi piuttosto che affrontare un ostacolo facilmente superabile.
Senza una notevole quantità di tempo libero un uomo è tagliato fuori da molte attività ludiche che rendono piacevole la vita. Non c'è più alcuna ragione per cui la maggior parte della popolazione debba subire questa privazione; solo una mera e affannosa ricerca di possibilità di carriera, di solito vicaria di altre necessità inesaudite, fa continuare ad insistere sul lavoro in quantità eccessiva rispetto al fabbisogno individuale.
Nel suo piacevole lavoro “Elogio dell’ozio” il filosofo Bertrand Russel racconta del viaggiatore che si reca a Napoli precisando che il periodo era quello antecedente all’avvento di Mussolini e, trovandosi di fronte a dodici mendicanti sdraiati al sole, offre una lira per sapere chi è il più pigro fra loro. Undici si alzano per reclamare la moneta, solo uno non si muove e così il viaggiatore premia proprio costui che rappresenta il massimo della pigrizia e continua ad oziare, nonostante il premio ottenibile senza compiere sforzo alcuno.
Può essere un’esagerazione, ma in molti casi corrisponde al vero, essendo molte le persone, secondo Jules Renard, che hanno l’invincibile abitudine di essere pigri perché, secondo lui, di abitudine si tratta. Dichiara infatti: “La pigrizia non è altro che l’abitudine di riposarsi prima di essere stanchi”. Affermazione che suona bene come alibi, perché in taluni casi essere pigri può anche significare il voler approfittare delle comodità di situazioni ben conosciute e non volersi esporre, per non correre rischi nell’affrontare situazioni da cui si è disturbati. Ed è per questo motivo che si diventa pigri, se non lo si era già prima, quando si è sotto pressione e si debbono risolvere problemi che risultano sgradevoli.
Impegnandosi poco si interagisce meno con la società e si evitano quindi i conflitti, potendo vivere così in modo molto più tranquillo, ma senza evoluzione individuale. Tra lunghi pisolini, ottimi pranzi, cene e la frequentazione di buoni amici che condividono la stessa filosofia di vita, secondo una molti, sarà possibile raggiungere la felicità.
Sicuramente se tutti fossero pigri la società non avrebbe avuto un grande sviluppo, anche se qualcuno sostiene che pazienza e pigrizia vanno d’accordo e sono molto utili perché, chi non ha una gran voglia di lavorare, è sempre alla ricerca di scorciatoie. Quindi le persone intelligenti sono persone profondamente pigre e, piuttosto che impegnarsi in complicati lavori, si ingegnano fino a trovare il modo di realizzare tutto in modo molto più semplice. Ed è per questo che sono nati, ad esempio, i mezzi di trasporto dalla bicicletta, evoluta fino agli attuali veicoli che rappresentano la soluzione migliore per poter compiere lo sforzo minimo al fine di evitarci la fatica di spostarsi camminando ed aspettare ad agire fino all’ultimo momento, regalando un supplemento di riposo al pigro.
Questo vede dunque il lavoro come un elemento perturbatore della felicità, una variabile della vita che ne rallenta addirittura l’evoluzione, poiché sottrae tempo alla ricerca di metodi rapidi per ridurre la fatica, arrivando ad affermare che, evitare il lavoro, è il vero cammino verso la felicità. Persone così non esistono, penserà qualcuno, ma in realtà almeno una di queste ha voluto manifestarsi lasciando la sua traccia sulle mura del Cottolengo,l'istituto torinese in cui la maggior parte del lavoro che viene svolto fra quelle mura, è su base volontaria, tempio del lavoro dedicato fraternamente per rendere meno penosa la vita di persone in difficoltà.
Complice la crisi che non permette ai giovani di cominciare una attività, qualunque questa sia pur di poter guadagnare quanto basta per potersi creare una vita propria, l'irriverente “Grazie a Dio non c’è lavoro!” svela la reale presenza dei pigri fra noi, persone che pur di non far fatica, scomodano addirittura Dio, ringraziandolo perché il disastro da cui siamo circondati, gli permette di riposarsi evitandogli, non sia mai, di andare a lavorare e godere di una gran quantità di tempo da dedicare al dolce far niente.
Andi Capp dal sito: http://www.licensemag.com/license-global/lisle-plans-andy-capp-program